Dl antiscarcerazioni di Bonafede Domani il giudizio alla Consulta

 di Angela Stella Il Riformista 3 novembre 2020

Per il decreto “antiscarcerazioni” del ministro Bonafede domani sarà il giorno del giudizio: la Consulta infatti dovrà decidere su tre questioni di legittimità costituzionale sollevate in merito al provvedimento voluto dal Guardasigilli per rispondere alle polemiche suscitate dalle scarcerazioni durante l’emergenza sanitaria da covid-19. I giudici si riuniranno in Camera di consiglio per discutere dei procedimenti sollevati dal Tribunale di Sorveglianza di Sassari, dal magistrato di sorveglianza di Avellino e da quello di Spoleto. Le norme censurate sono due: il decreto legge 10 maggio 2020, n.29  e il decreto legge 30 aprile 2020, n.28. Il relatore per tutti i procedimenti sarà il giudice Francesco Viganò.

Facciamo un passo indietro: a causa dell’emergenza covid, diversi detenuti hanno ottenuto i domiciliari perché le loro condizioni di salute sono risultate incompatibili con la detenzione carceraria. Tra loro anche reclusi dell’alta sicurezza e pochissimi del 41 bis. Ciò ha suscitato aspre critiche da parte di coloro che, intervenuti soprattutto a Non è l’Arena o su Repubblica, hanno lanciato un grido di allarme perché i boss sarebbero tornati così nel loro territorio a comandare. Il Ministro, sotto attacco e sopraffatto da una narrazione distorta dei fatti, ha subito preso provvedimenti con i decreti su citati. Ma questi hanno acceso non poche polemiche perché, sotto certi aspetti, vanno a limitare l’autonomia della magistratura di sorveglianza che per emettere una decisione deve, tra l’altro, attendere i pareri della Procure della Repubblica e della Direzione Antimafia.

Guardiamo ora i singoli casi all’attenzione della Corte Costituzionale. Il primo è quello di Pasquale Zagaria, affetto da un tumore alla vescica, a cui il Tribunale di Sorveglianza di Sassari ha concesso la detenzione domiciliare a fine aprile. Attualmente è detenuto presso il carcere milanese di Opera in regime di 41 bis. Il secondo caso è quella di A. A., una detenuta settantaseienne, affetta da una grave infermità fisica, a cui è stata concessa il 20 aprile la detenzione domiciliare umanitaria da parte del magistrato di sorveglianza di Avellino. Il terzo ed ultimo caso è quello di L.T.M. , ristretto nel carcere di Terni, a cui sono stati concessi a fine marzo da parte del magistrato di sorveglianza di Spoleto i domiciliari a causa di un quadro clinico compromesso a seguito di un trapianto d’organo e che sarebbe potuto peggiorare qualora avesse contratto il covid.

Vediamo le ragioni che hanno spinto magistrati e tribunali a rivolgersi alla Consulta. Secondo il quadro normativo precedente l’entrata in vigore dei decreti in oggetto, i provvedimenti di concessione della detenzione domiciliare - al di là dell’impugnazione sempre possibile - se concessi in via d’urgenza dal magistrato di sorveglianza prevedevano già anche entro poche settimane una rivalutazione dinanzi al Tribunale, se assunti dal Tribunale erano comunque sempre a tempo, per cui si aveva modo di rivalutare sia le condizioni di salute che il comportamento della persona durante la sottoposizione alla misura domiciliare. Con la nuova normativa è diventato tutto più complesso e veloce: ciò andrebbe a minare autonomia della magistratura di sorveglianza, diritto alla salute del detenuto e diritto alla difesa. Nello specifico: l’obbligo di dover ridiscutere il provvedimento di differimento pena o di concessione di detenzione domiciliare entro quindici giorni, e poi a cadenza mensile o addirittura subito se il Dap comunica la disponibilità di una struttura penitenziaria idonea ad accogliere il detenuto, invaderebbe la sfera di competenza riservata all’autorità giudiziaria e violerebbe il principio di separazione dei poteri. A ciò si deve aggiungere che il restringimento temporale della valutazione dello stato di salute del detenuto non consente di avere contezza dell’evoluzione del quadro clinico dello stesso, ma solo del quadro epidemiologico. Infine la norma non contemplerebbe alcuna comunicazione formale dell’apertura del nuovo procedimento di rivalutazione alla difesa, la quale non avrebbe contezza dei risultati istruttori, né facoltà di confrontarsi con i contenuti delle note pervenute e, pur volendo produrre nuove memorie difensive, dovrebbe farlo alla cieca e in pochissimi giorni. Per tutti questi motivi il decreto sarà al vaglio dei giudici costituzionali.  

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