Salute mentale in carcere


Di Valentina Stella Il nuovo corriere di roma e lazio (martedì 9 ottobre 2018)

Sono molti i cambiamenti che hanno investito il sistema carcerario italiano e che impongono una riflessione giuridica e sanitaria sulla salute mentale all’interno degli istituti penitenziari. Tra questi la recente approvazione della riforma dell’ordinamento penitenziario: non quella formulata durante il precedente Governo Gentiloni bensì quella riscritta dal nuovo Parlamento sotto la guida del Ministro pentastellato Bonafede. Tra i punti salienti del dispositivo c’è la mancata equiparazione tra detenuti affetti da patologie fisiche con quelle psichiatriche: si conservano così delle preclusioni ai benefici per quest’ultimi, nonostante la schizofrenia e i disturbi della personalità abbiano una frequenza di quattro e di due volte maggiore in carcere rispetto alla popolazione generale. Novità meno recenti, ma che comunque ancora hanno un impatto sul presente, sono la chiusura degli ospedali psichiatrici giudiziari, sostituiti dalle Rems (Residenza per l'esecuzione delle misure di sicurezza) e il passaggio di competenze nella gestione della salute dei detenuti dal Ministero della Giustizia a quello della Salute.  Per approfondire queste tematiche  si è tenuto la scorsa settimana a Roma il primo meeting internazionale dal titolo “Il sistema penitenziario italiano e spagnolo a confronto. Focus sulla salute mentale”, che - promosso dalla Società Italiana di Medicina Penitenziaria e dalla Società Italiana di Psichiatria delle Dipendenze con il contributo di Otsuka – ha permesso un dialogo tra il modello italiano e quello iberico. Presente all’incontro Giulia Grillo, Ministro della Salute: “i contenuti presentati rappresentano uno spunto utile per intraprendere una riflessione più ampia sulla gestione della salute negli istituti penitenziari del nostro Paese. Come ministero della Salute puntiamo a dimostrare in concreto  che è possibile fare di più per perseguire una  gestione più efficiente delle politiche sanitarie dietro le sbarre. Nelle prossime settimane avvieremo una valutazione sul territorio delle diverse realtà italiane”. Una prima stima della situazione la si può fare attraverso alcuni dati pubblicati nell’ultimo rapporto di Antigone, associazione non governativa con sede centrale a Roma che si interessa della tutela dei diritti e delle garanzie nel sistema penale. Secondo l’analisi condotta dall’Osservatorio “si calcola che il numero settimanale medio di ore di presenza dello psichiatra nelle sezione comuni per 100 detenuti è di 8,6 ore per settimana su base nazionale (poco più di un’ora al giorno), con però parecchie differenze da istituto a istituto. A discostarsi in maniera significativa dalla media nazionale sono gli istituti più grandi, come Napoli Poggioreale dove la presenza media scende a 0,9 ore per settimana e Torino dove si attesta a 1,5 ore per settimana”. Va un po’ meglio con gli psicologi: “il numero medio di ore di presenza degli psicologi per 100 detenuti è di 11,3 ore per settimana. Dunque superiore alla presenza degli psichiatri, ma anche qui non mancano le eccezioni negative (alla casa circondariale di Benevento si scende a 1,4 ore per settimana e a Salerno a 1)”. Come ci ha spiegato Daniela De Robert, Componente del Collegio Garante Nazionale Detenuti, intervenuta al meeting internazionale, “la salute mentale in carcere è un tema centrale in quanto quantitativamente e qualitativamente rilevante. Da una parte ci sono le persone non imputabili che sono nelle Rems in cui c’è una lunga lista d’attesa legata anche  - noi pensiamo – ad una gestione forse non proprio corretta di queste strutture; e dall’altra parte c’è il problema di chi sta scontando una pena e ha sviluppato una patologia psichiatrica. L’ordinamento prevede che siano costituiti in ogni regione delle sezioni per la tutela della salute mentale che sulla carta sono un numero elevato ma di fatto sono poche quelle operative. Il risultato è che queste persone non vengono prese in carico e non vengono curate. Dei 41 suicidi che quest’anno hanno riguardato i detenuti, 5 riguardavano sicuramente pazienti psichiatrici”. A proposito di Rems è bene ricordare che con la legge 81 del 2014 la riabilitazione dei malati psichiatrici autori di reato deve avvenire all’interno di strutture sanitarie, come le Rems appunto e non più presso istituti penitenziari (quali erano gli opg). Secondo i dati del Ministero della Giustizia aggiornati ad aprile di quest’anno, quelle funzionanti sono 30. In esse sono ricoverate 599 persone, di cui 54 donne (il 9%, percentualmente quasi il doppio delle donne detenute in carcere). A tal proposito, il dibattito tenutosi a Roma ha coinvolto i rappresentanti di tutte le istituzioni che hanno un ruolo nel sistema penitenziario italiano, come le procure della Repubblica e le Aziende Sanitarie Locali. Francesco Menditto, procuratore della Repubblica di Tivoli, ha sottolineato l’attenzione delle procure del Lazio verso la gestione della salute mentale nelle carceri: “negli anni, l’Italia ha cercato di mettere in atto diverse iniziative per tutelare le persone con fragilità psichiatrica che si trovano nelle carceri. La chiusura gli ospedali psichiatrici giudiziari e il conseguente passaggio di competenze tra il Ministero della Giustizia e quello della Salute nella gestione della salute mentale degli internati  - ha commentato Menditto – rappresenta un esempio concreto di questo impegno. Anche nel Lazio sono state attuate iniziative importanti in questo senso. La Procura Generale di Roma ha infatti promosso un protocollo unitario che ha garantito il migliore funzionamento della nuova normativa e delle REMS (tre delle quali sono nel circondario di Tivoli), favorendo la collaborazione tra la magistratura, i Dipartimenti di Salute Mentale e il personale penitenziario”. A portare il punto di vista delle Aziende Sanitarie Territoriali è Giuseppe Quintavalle, Direttore Generale Azienda Sanitaria Territoriale Roma 4 e Commissario Straordinario Azienda Sanitaria Territoriale Roma 5: “nella gestione dei detenuti con problemi psichiatrici non sono mancate iniziative volte a migliorare l’organizzazione dei sistemi di salute mentale negli istituti penitenziari italiani. È stato elaborato un percorso innovativo e sono state attuate numerose procedure, anche legislative. Nonostante le attività messe in atto siano numerose – ha affermato Quintavalle – è importante continuare a favorire momenti di confronto multidisciplinare sui possibili nuovi modi per migliorare sempre di più sia la sicurezza degli operatori sanitari e penitenziari che lavorano nelle carceri italiane, sia la presa in carico e l’assistenza dei detenuti con fragilità mentale”. In particolare nel Lazio sono cinque le Rems attive: di queste, due sono ubicate a Palombara Sabina, e le altre tre si trovano a Subiaco, Pontecorvo e Ceccano.

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