La malattia mentale è più frequente in cella

di Valentina Stella Il Dubbio 9 ottobre 2018

Un confronto internazionale al ministero della Salute tra istituzioni ed esperti italiani e spagnoli sulla gestione dei detenuti con disturbi psichiatrici. Una problematica in forte crescita: “la schizofrenia e i disturbi della personalità hanno una frequenza di quattro e di due volte maggiore in carcere rispetto alla popolazione generale”, ha sottolineato Massimo Clerici, presidente della Società Italiana di Psichiatria delle Dipendenze; “In Italia il salto di qualità – ha proseguito - è stato fatto con la chiusura degli ospedali psichiatrici giudiziari nel 2015, sostituiti dalle Rems o dall’istituzione di servizi di psichiatria interni alle carceri”. Inoltre un cambiamento significativo che ha investito il sistema carcerario italiano è stato il passaggio di competenze nella gestione della salute dei detenuti dal ministero della Giustizia a quello della Salute”. All’incontro, promosso dalla Società Italiana di Medicina Penitenziaria e dalla Società Italiana di Psichiatria delle Dipendenze con il contributo incondizionato di Otsuka, ha partecipato anche Giulia Grillo, ministro della Salute che ha dichiarato: “i contenuti presentati rappresentano uno spunto utile per intraprendere una riflessione più ampia sulla gestione della salute negli istituti penitenziari del nostro Paese. Come ministero della Salute puntiamo a dimostrare in concreto che è possibile fare di più per perseguire una gestione più efficiente delle politiche sanitarie dietro le sbarre. Nelle prossime settimane avvieremo una valutazione sul territorio delle diverse realtà italiane”. Come ha spiegato al Dubbio Daniela De Robert, Componente del Collegio Garante Nazionale Detenuti “la salute mentale in carcere è un tema centrale in quanto quantitativamente e qualitativamente rilevante. Da una parte ci sono le persone non imputabili

che sono nelle Rems in cui c’è una lunga lista d’attesa legata anche - noi pensiamo – a una gestione forse non proprio corretta di queste strutture; e dall’altra parte c’è il problema di chi sta scontando una pena e ha sviluppato una patologia psichiatrica. L’ordinamento prevede che siano costituiti in ogni regione delle sezioni per la tutela della salute mentale che sulla carta sono un numero elevato ma di fatto sono poche quelle operative. Il risultato è che queste persone non vengono prese in carico e non vengono curate. Rappresentano un problema per la gestione in carcere, e talvolta la situazione è spostarli. Inoltre la gestione di queste persone ricade sul personale di polizia penitenziaria che non ne ha la competenza. Noi una volta abbiamo incontrato una persona che in un anno era stata trasferita 32 volte. Occorrerebbe investire di più da parte della Asl e c’è esigenza di migliori accordi tra mondo penitenziario e mondo della salute. L’uso della sorveglianza a vista per una persona che ha bisogno di cure non può andare avanti” e chiude rilevando che “dei 41 suicidi che quest’anno hanno riguardato i detenuti, 5 sono stati sicuramente di pazienti psichiatrici”. Il dibattito ha coinvolto i rappresentanti di tutte le istituzioni che hanno un ruolo nel sistema penitenziario italiano, come le procure della Repubblica e le Aziende Sanitarie Locali. “La Procura generale di Roma è impegnata nel diffondere negli uffici del distretto la collaborazione con la Sanità regionale, perciò si fa portatrice dell’esperienza del trattamento differenziato dei pazienti per i quali è stata riconosciuta la pericolosità sociale, al fine anche di fronteggiare la scarsità dei posti disponibili nelle Rems”, ha commentato Giovanni Salvi, procuratore generale di Roma.

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