Carolina Varchi: «Mamma con figlio in cella? Deve essere l’estrema ratio»

di Valentina Stella Il Dubbio 25 ottobre 2018

Alice Sebesta, la detenuta tedesca di 31 anni che il 18 settembre ha ucciso nel carcere romano di Rebibbia i figlioletti, era capace di intendere e volere? A stabilirlo sarà lo psichiatra Valerio Mastronardi, nominato dal gip Antonella Minunni, durante l’incidente probatorio dello scorso 22 ottobre. Procura e difesa hanno nominato esperti Alessio Picello e Gabriele Mandarelli. L’avvocato Andrea Palmiero punta infatti a provare l’incapacità della propria assistita che, secondo una documentazione in arrivo dalla Germania, sarebbe stata ricoverata per diversi anni e avrebbe un passato psichiatrico rilevante. Secondo le statistiche del ministero della Giustizia alla data del 30 settembre 2018 sono presenti negli istituti penitenziari 26 detenute italiane con 31 figli a seguito e 24 recluse straniere con 28 bambini. Per fare il punto della situazione, ad un mese dalla tragedia di Rebibbia, Fratelli d’Italia ha organizzato alla Camera dei Deputati una tavola rotonda dal titolo “Bambini dietro le sbarre”. Tra i relatori l’onorevole Carolina Varchi, avvocato e capogruppo Fratelli D’Italia in Commissione giustizia alla Camera, che abbiamo incontrato a margine dell’incontro per discutere del tema ma anche di altre questioni riguardanti la giustizia.

Onorevole Varchi, cosa non ha funzionato a Rebibbia?

Appena si è verificata la tragedia siamo andati a Rebibbia per verificare lo stato delle cose. Abbiamo trovato un carcere con una sezione nido assolutamente idonea, una eccellenza nel panorama carcerario italiano. Per questo abbiamo ritenuto eccessivi i provvedimenti adottati, senza un minimo di attività istruttoria, dal ministro Bonafede nei confronti della direttrice, della sua vice e della vice comandante di polizia penitenziaria. Il tema dei bambini in carcere però esiste come problema e ciò ci ha indotto a organizzare un momento di confronto con tutti gli attori che a vario titolo sono coinvolti nella tutela di questi minori. La tutela deve contemperare due esigenze: della comunità affinché la madre sconti la pena o la misura cautelare ma anche la tutela del primario interesse del bambino. Il punto di equilibrio da adottare per una soluzione deve essere tra queste due esigenze.

Quali le soluzioni allora?

In questo caso la misura cautelare deve essere l’estrema ratio, una madre deve stare in carcere col figlio quando non è possibile fare altrimenti. In tutti gli altri casi vanno valorizzati gli strumenti esistenti: Icam, case famiglie, sospensione o posticipazione della pena. Non essendo eccessivo il numero dei bambini in carcere la situazione si può affrontare in maniera risolutiva.

Nel suo intervento ha parlato anche del tema della custodia cautelare. I dati del ministero della Giustizia ci dicono che al 30 settembre 2018 su un totale di 59.275 detenuti sono in carcere, tra italiani e stranieri, 10.008 in attesa di giudizio e 9823 senza una condanna definitiva. Quindi quasi il 34% del totale. Crede che ci sia un abuso della misura cautelare?

Le misure cautelari per come sono codificate in Italia in linea astratta dovrebbero avere una applicazione limitata ai casi veramente che la necessitano. La privazione della libertà è un rimedio davvero drastico che lo Stato va ad adottare. Tuttavia le cronache giudiziarie consegnano una realtà diversa per cui questo tema è uno di quelli in cui tra la previsione normativa e l’applicazione della stessa vi è un divario. Probabilmente

anche nell’applicazione delle misure cautelari ci vuole un controllo più penetrante per capire se effettivamente la privazione della libertà sia l’unica soluzione per il rispetto di uno di quei presupposti che servono per l’applicazione della stessa. Del resto anche le statistiche che ci consegna la giurisprudenza del riesame vedono una buona percentuale di provvedimenti del gip che vengono modificati nel senso più favorevole per l’indagato. È evidente che c’è qualcosa che non va.

Una delegazione di Fratelli d’Italia ha preso parte al Congresso Nazionale Forense che si è svolto poco fa a Catania. Uno dei temi più affrontati è stato quello dell’avvocato in Costituzione. Lei ritiene che nell’equilibrio della democrazia occorra rafforzarne il ruolo nella Carta fondamentale?

Abbiamo partecipato con grande interesse al congresso di Catania, io ho personalmente seguito due dei tre giorni di lavoro. Noi crediamo che i tempi siano maturi affinché il ruolo dell’avvocato sia riconosciuto in Costituzione; la professione di avvocato vi trova già un riconoscimento seppur in maniera embrionale in quanto a più riprese è nominato nella nostra Carta Costituzionale; peraltro, soprattutto con riferimento al processo penale, noi viviamo una situazione in cui il giudice e il pm fanno parte della stessa macro categoria che è quella dei magistrati mentre l’avvocato inevitabilmente ha una posizione che di fatto è di minore incisività rispetto alle altre posizioni. Valga per tutti l’esempio delle indagini difensive che quasi mai godono della stessa considerazione al fine del convincimento del giudice rispetto alle indagini preliminari svolte dall’ufficio della procura.

Da qui la vostra adesione alla separazione delle carriere?

Noi lo abbiamo sempre sostenuto e anche sull’avvocato in Costituzione abbiamo ritenuto di sposare l’iniziativa del Consiglio Nazionale Forense. Qualora il governo, come ha fatto intendere il ministro Bonafede, decidesse di intraprendere questa strada certamente Fratelli d’Italia sarebbe pronta a contribuire.

Fratelli d’Italia può definirsi un partito garantista?

Noi abbiamo una posizione molto netta: i colpevoli devono essere assicurati alla giustizia alla quale il cittadino deve ricominciare a credere perché credere in essa significa credere nello Stato. Sotto questo profilo noi chiediamo certezza della pena. A titolo personale posso dirle che io sono garantista fino al terzo grado di giudizio perché nel momento in cui interviene una sentenza di condanna essa va eseguita. La forza di uno Stato non è tanto emettere sentenze quanto più vicine alla realtà storica dei fatti ma farle eseguire.

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