Bambini dietro le sbarre

Di Valentina Stella Il Dubbio 19 ottobre 2018
 A un mese dalla tragedia nel carcere di Rebibbia di Roma dove Alice Sebesta ha gettato i due figli nella tromba delle scale uccidendoli, la Camera Penale di Roma ha organizzato ieri nel tribunale un momento di confronto – moderato dal nostro direttore Piero Sansonetti -  per “riflettere sulle criticità e sulle prospettive di modifica del sistema”. Oltre al dibattito, i penalisti romani hanno deliberato nella stessa giornata l’ astensione “come estrema ratio – ha spiegato il presidente della Camera Penale di Roma, Cesare Placanica – per porre l’attenzione su un fatto eccezionale: la morte drammatica di due bambini a opera della loro madre mentre erano nella custodia dello Stato”. Il primo ad intervenire, anche se “con difficoltà a causa dell’iniziativa di astensione”, è stato Giovanni Salvi, Procuratore generale di Roma che, non potendo entrare nel merito di quanto accaduto a Rebibbia in quanto le responsabilità individuali sono in fase di accertamento, ha posto l’accento sul disagio psichico in generale e sulla scarsità dei posti nelle Rems, situazione che nel Lazio hanno fronteggiato con  un protocollo unitario di collaborazione tra la magistratura, dipartimenti di salute mentale e personale penitenziario affinché “il disagio mentale venga affrontato in maniera rapida e selettiva”. Maria Antonia Vertaldi, presidente del Tribunale di Sorveglianza di Roma, ha sottolineato una percentuale importante ossia che “il 41,3% dei detenuti risulta affetto da un disagio psichico più o meno grave” e ha spiegato l’obiettivo di un protocollo contro il rischio suicidario tra la Asl 2 di Roma e il carcere di Rebibbia secondo il quale “appena il detenuto entra in carcere devono essere messe in atto tutta una serie di attività di screening affinché possa intervenire subito il dipartimento di salute mentale qualora ci fossero delle criticità”. Inoltre, ha spiegato la Vertaldi, nel protocollo “sono previsti corsi specifici indirizzati ai detenuti affinché riescano a gestire gli altri reclusi problematici”. Il dibattito si è acceso poi con l’intervento del presidente della seconda sezione penale della corte d'assise d'appello di Roma Tommaso Picazio secondo il quale “non è opportuno fare riflessioni di questo tipo sull’onda del turbamento. Necessario è invece interrogarsi sul processo penale che spesso non funziona in termini di tempi ed efficacia, fino a risultare quasi ingiusto. A quasi cinquant’anni dalla legge Valpreda ancora si continua a discutere di custodia cautelare sull’onda dell’emozione. Per questo l’avvocatura penalista deve fare da traino culturale, perché è inutile aspettare che lo faccia la magistratura” e ha poi concluso “Stare in carcere è sempre una tragedia”. A replicare ci ha pensato Riccardo Polidoro, Responsabile Osservatorio carcere UCPI: “viene chiesto a noi di fare da traino. L’avvocatura da sempre denuncia l’abuso della custodia cautelare e la vergogna delle nostre carceri e invece cosa fanno l’ANM e il CSM, spesso uditi, su questi temi? Eppure dall’inizio dell’anno ci sono stati 48 suicidi e 110 morti naturali in carcere. Ma nessuno ne parla”. In merito al tema del convegno, Polidoro ha evidenziato che “secondo gli ultimi dati al momento in carcere ci sono 52 madri con 62 figli, bambini che non conoscono la profondità dell’orizzonte e che avranno problemi fisici e psichici. Per evitare queste tragedie i Tribunali di Sorveglianza devono sentire il dovere e la volontà di informarsi sui singoli casi, conoscere bene le situazioni su cui andranno ad esprimersi”. Applausi dalla platea di avvocati sono arrivati a Riccardo De Vito, Presidente di Magistratura Democratica, che ha fatto una sorta di mea culpa della categoria: “è chiaro che sulla vicenda di Rebibbia il ragionamento devo riguardare la magistratura. La direttrice del carcere non poteva tirare fuori la detenuta. Il problema dell’ingresso in carcere delle madri è più complesso di quanto potrebbe apparire.  Di sicuro ci dovrà essere una maggiore attenzione da parte della magistratura e dell’avvocatura e degli operatori del diritto in genere a valutare bene quelle che sono le rilevanti esigenze cautelari, o meglio le esigenze di eccezionale rilevanza. Di sicuro bisognerà stare attenti ad un giudizio prognostico che tenga in considerazione i nuovi orientamenti della Corte Costituzionale, nonché le prognosi in relazione alle possibili sospensioni dell’ordine di esecuzione ovvero il differimento obbligatorio nei confronti delle detenute madri”. E sulla decisione del Ministro Bonafede di sospendere immediatamente il direttore del carcere femminile di Rebibbia, il Vice e il Vice Comandante della Polizia Penitenziaria, De Vito è molto duro: “tale decisione inocula il virus per cui la giustizia viene fatta senza motivazione, solo per soddisfare gli istinti della folla. Una giustizia veloce, senza spiegazioni, che ti dà subito la certezza della sanzione e di un colpevole è una visione opposta al garantismo”. Per Marco Patarnello, Magistrato di sorveglianza di Roma, “non facciamo un buon servizio se vogliamo dare al malato psichico un destino extra-carcerario. Se ‘mai più bambini in carcere’ va a significare ‘mai più madri in carcere’ il problema diventa ancora più complesso”. Tuttavia, ha chiesto polemicamente Stefano Anastasia, Garante dei detenuti del Lazio: “come mai subito dopo la tragedia, sei detenute di Rebibbia sono state trasferite nella Casa di Leda? Purtroppo ci sono delle falle di sistema nei servizi sanitari in carcere e nella capacità di decidere con coraggio a favore della libertà. La custodia cautelare è una estrema ratio”. A seguire proprio l’intervento di Lillo di Mauro, responsabile della struttura per madri detenute Leda che ha criticato la legge 62 del 2011 sulle detenute madri, “laddove prevede case protette ma senza oneri per lo Stato, a differenza degli Icam – istituti a custodia attenuata – e ovviamente il carcere. Si tratta di una aberrazione”. In chiusura intervento di Riccardo Arena, conduttore di Radio Carcere su Radio Radicale: “oggi (ieri, ndr) tutti hanno lodato il nido di Rebibbia, ma sono morti due bambini detenuti. Chi si prende la responsabilità di quanto accaduto? Qui le responsabilità le ha lo Stato che tiene i bambini in carcere, la magistratura con il proprio deficit culturale, la politica che in questi anni non ha saputo risolvere la vergogna dei bambini in carcere e un sistema carcerario che, non solo provoca la follia, ma che è del tutto folle. Ora credo che, dinanzi ad un fatto così grave, non si dovevano fermare solo i penalisti di una città, ma un intero Paese che si definisce civile. Ma purtroppo ormai siamo assuefatti alla disfunzione”. Tra il pubblico anche l’avvocato Andrea Palmiero, legale di Alice Sebesta, che al momento, come ci spiega, “è rinchiusa in un carcere sorvegliata a vista ma per sicurezza personale non posso dire dove. Il 22 ottobre iniziamo l’incidente probatorio quindi il conferimento dell’incarico per valutare la problematica psichiatrica della mia assistita. Ho già versato in atti parecchia documentazione che riguarda un lungo percorso psichiatrico, circa 9 anni, che ha avuto in Germania. Ha dei trascorsi molto forti”. Su quanto è successo l’avvocato Palmiero dice di non “potersi rimproverare nulla perché io lo avevo fornito un domicilio una settimana prima degli eventi ma è stata rigettata l’istanza”. Sul tema in generale il legale è chiaro: “se si garantisce la maternità come diritto, lo Stato deve andare fino in fondo, non può tagliare quel cordone ombelicale tra madre e figlio. Non è certamente il carcere la situazione migliore per fare questo”. 

Commenti

Post popolari in questo blog

Le commissioni di inchiesta in Parlamento

«L’avvocato non può essere identificato con l’assistito»

«Ridurre l’arretrato civile del 90%? Una chimera» Nordio ripensa l’intesa con l’Ue