Pd: il Governo vuole intimorire la stampa

 Valentina Stella Dubbio 19 aprile 2024

Intimidire la stampa, vendicarsi dei giornalisti, depotenziare gli organi di controllo: questi secondo il Partito democratico gli obiettivi che questo Governo e la maggioranza di destra vogliono raggiungere attraverso un filo rosso che tiene insieme diversi interventi sia dell’Esecutivo che del Legislativo. L’occasione per ribadirlo è stata una conferenza stampa convocata ieri al Senato dal presidente dei senatori dem Francesco Boccia, dalla responsabile Giustizia del Pd Debora Serracchiani, dalla vice presidente del Senato Anna Rossomando, dal capogruppo Pd in commissione Giustizia Alfredo Bazoli, dal capogruppo dem in Antimafia Walter Verini. Oggetto dell’incontro con la stampa il ddl n. 466 che prevede modifiche alla legge 8 febbraio 1948, n. 47, al codice penale, al codice di procedura penale e al decreto legislativo 9 aprile 2003, n. 70, in materia di diffamazione, di diffamazione con il mezzo della stampa o con altro mezzo di diffusione e di condanna del querelante nonché di segreto professionale, e disposizioni a tutela del soggetto diffamato. È dei giorni scorsi la notizia della presentazione da parte di senatori della maggioranza di alcuni emendamenti, poi ritirati, che prevedevano il carcere per i giornalisti colpevoli del reato di diffamazione. E di ieri invece un'intervista su Repubblica a Liana Milella del senatore di Fratelli d’Italia Alberto Balboni, autore del testo base della proposta, che ha preso le distanze dagli eccessi delle modifiche inizialmente richieste dei suoi colleghi. Tuttavia il ritiro degli emendamenti del relatore Gianni Berrino (FdI), che secondo fonti parlamentari gli sarebbero arrivati direttamente da Palazzo Chigi, non ha spento l'allarme dei dem. «Noi abbiamo fortemente contestato - ha sottolineato Boccia - non solo la norma ma l'atteggiamento della maggioranza, le modalità con le quali il Governo è intervenuto e il tentativo violento di intimorire la stampa e di imbavagliarla». Per Boccia si tratta di un segno di una più generale «insofferenza ai meccanismi di controllo», dei quali la stampa è un pilastro ma che riguarda anche quello che accade sul Pnrr e sul Def: «il ministro Fitto che ha smontato il Pnrr, eliminato le forme di controllo della Corte dei Conti, cancellato alcuni contenuti che riguardavano gli investimenti degli enti locali, lo ha rimontato e gli è avanzato qualche pezzo. Ma ha sempre detto che rispetteremo i termini. Dall'altro, Giorgetti ha iniziato a dire prima in Europa e poi in Italia che ci saranno dei ritardi e che il Pnrr probabilmente sarà spalmato nei due anni successivi. Lo fa per prendere altri spazi di indebitamento. Peccato che il Def, che noi contestiamo, contenga oggi una crescita del Paese dello 0,9, grazie al Pnrr. E invece la crescita dell'1% prevista col quadro tendenziale è evidentemente fasulla». Per Bazoli le intenzioni della maggioranza e del Governo «sono diventate più evidenti con gli emendamenti del relatore la settimana scorsa, con i quali si reintroduceva la pena della detenzione per i giornalisti con sanzioni pecuniarie molto elevate, che mettevano fortemente a repentaglio la libertà di stampa. Sanzioni dal sapore intimidatorio nei confronti dei giornalisti e dell'informazione. Quegli emendamenti presentati dal relatore, e ricordo - ha aggiunto - che un relatore di un testo di legge non si muove in autonomia ma tendenzialmente in accordo col Governo, sono stati ritirati, è una cosa positiva ma che non toglie la sensazione che ci ha lasciato: che parte della maggioranza vuole cogliere l'occasione non per bilanciare, equilibrare il rapporto fra tutela della reputazione e libera informazione ma vuole operare una forte stretta». Bazoli ha ricordato che la recente direttiva europea su questi temi «è stata chiamata legge di Dafne, in ricordo della giornalista maltese Dafne Caruana, uccisa mentre aveva a suo carico 48 procedimenti legali, ovviamente e evidentemente di natura intimidatoria». Verini, dal canto suo, ha ricordato che nel 2022 «sono state 500 le liti temerarie a danno di giornalisti». A suo giudizio «il tema emergenziale oggi, dopo che l'intervento dell'allora ministro Andrea Orlando aveva corretto alcune storture, non è la lesione della reputazione ma la tutela del giornalismo. Quello che accade con il servizio pubblico radiotelevisivo, con la stretta sulla pubblicazione delle notizie, con le pressioni sui giornalisti d'inchiesta, con la compravendita dell'Agi, con l'attacco alla par condicio e alle fonti: l'insieme di queste cose delinea un fastidio per i controlli, i contropoteri democratici sanciti dalla Costituzione, come l'attacco alla magistratura, ai poteri indipendenti e al contropotere dell'informazione». «Stiamo discutendo - ha osservato Rossomando - del rapporto tra la libertà e il potere: questo interroga le democrazie moderne e la direzione che debbono prendere, se vogliamo chiamarle davvero democrazie liberali. Quando parliamo delle intimidazioni ai giornalisti stiamo parlando del fatto che è inaccettabile che qualcuno decida cosa si può e cosa non si può dire, e che lo faccia chi è più forte, chi ha il potere». Ha concluso la Serracchiani: “Questo Governo più che la destra – spesso è capitato infatti che provvedimenti di natura parlamentare si siano trasformati in atti dell’Esecutivo con testi che sono giunti all’improvviso  - ci sta abituando ad una sorta di panpenalismo emozionale, spesso con una spinta repressiva e sanzionatoria molto forte che, rispetto a questa proposta, sembra assumere anche una volontà vendicativa verso i giornalisti. Oggi la destra con questa iniziativa insieme ad altre, come la legge bavaglio o l’occupazione della Rai, lede quelli che sono i principi fondamentali. La nostra posizione è chiara a livello legislativo e comunicativo. Vogliamo anche però sollecitare la destra italiana a intraprendere una strada diversa, che stia dentro i valori della Costituzione e nel quadro dei principi europei, nonché nel rispetto dell’equilibrio dei poteri. La libertà d’informazione non è negoziabile». 

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