“Non tutti sanno che”, la voce dei detenuti di Rebibbia

 Valentina Stella Il Dubbio 11 gennaio 2023

È stato pubblicato il numero di dicembre di “Non tutti sanno che”, notiziario della casa di reclusione di Rebibbia a Roma, diretto dal giornalista professionista ed ex vaticanista Roberto Monteforte, volontario da anni nel carcere capitolino, la cui redazione è formata da soli detenuti.


Proprio Monteforte firma un editoriale dal titolo “Detenzione – Diritto alla vita” in cui, oltre a ricordare il nostro appello sui suicidi in carcere ( e per questo lo ringraziamo), si chiede: “quanti suicidi in meno ci sarebbero se, nel rispetto della sicurezza, fossero consentiti maggiori contatti con i familiari e uno spazio per l’affettività che è un diritto della persona detenuta”. La rivista ospita poi un articolo di Federico Ciontoli intitolato “Le 35 buone azioni per cambiare la pena”. Al centro il dibattito scaturito dall’incontro al teatro di Rebibbia avuto tra detenuti, studenti di giurisprudenza di Roma 3, il professor Marco Ruotolo, già presidente della Commissione carcere voluta dall’ex minnistra della Giustizia Marta Cartabia, e Carmelo Cantone, vice capo del Dap. Segue poi una intervista all’ingegnere Roberto Santori, che in Unindustria è responsabile della formazione professionale. “Da anni ha portato a Rebibbia proprio la formazione per preparare al lavoro i detenuti a fine pena e vi ha condotto i capi del personale delle grandi aziende per selezionarli e assumere”. Accanto la testimonianza di un detenuto, Danilo Guadagnoli, che racconta i suoi due lavori: quello alle dipendenze dell’Amministrazione penitenziaria come archivista e quello in smart- working per una azienda associata con Unindustria. “Il lavoro in carcere vuol dire futuro”, scrive.


Poi c’è l’articolo di Marco Fagiolo dal titolo “Una telefonata allunga la vita”: se passata l’emergenza Covid “si tornasse veramente indietro, cioè a svolgere una sola telefonata a settimana, sarebbe una involuzione che viaggerebbe in senso contrario a quello che dovrebbe essere la modernizzazione del sistema carcere. Basterebbe dare uno sguardo a come funzionano certe cose negli altri Paesi europei per capire che l’Italia è indietro di oltre mezzo secolo”. Un esempio per tutti: la Spagna dove “i corridori delle sezioni vedono la presenza di moltissimi box telefonici, dove il detenuto può chiamare liberamente a sue spese, non solo chi vuole, ma per tutto il tempo che desidera e tutti i giorni”.

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