Intervista a Gatta

 Angela Stella Il Riformista 14 gennaio 2023


Ormai da giorni molti giornali stanno creando allarme intorno a quella parte della riforma di mediazione Cartabia del processo penale relativa ai reati riqualificati  come procedibili a querela e non più di ufficio. Ne parliamo con il consigliere dell’ex Guardasigilli, professor Gian Luigi Gatta, ordinario di Diritto penale nell’Università di Milano.


Tre boss scarcerabili a causa della riforma Cartabia. È davvero così?


Mi sembra che sia stato dato eccessivo risalto a una non notizia, usando per di più toni allarmistici: nessun boss è stato scarcerato. Questo perché i reati per cui si procede non sono solo quelli, meno gravi, procedibili a querela (sequestro semplice, non a scopo di estorsione, e lesioni lievi), ma anche e soprattutto quelli tipici della criminalità organizzata (associazione per delinquere ed estorsione). Ci si è accorti solo ora, trent’anni dopo l’introduzione dell’aggravante del metodo mafioso, che quell’aggravante è riferibile anche a reati procedibili a querela. Non accadrà spesso ma può accadere. E poteva ad esempio già accadere, prima della riforma Cartabia, per le lesioni guaribili entro 20 giorni. Parlamento e Governo possono intervenire con un piccolo intervento normativo, di dettaglio nell’ambito di una riforma complessa. I correttivi suggeriti dalla prassi applicativa, nelle riforme di sistema, sono fisiologici. Tanto è vero che la legge delega 134/2021 li prevede, autorizzando il Governo a realizzarli da qui a due anni. E alcuni correttivi, non questo però, sono stati già introdotti su proposta del Ministro della Giustizia in sede di conversione del decreto legge che ha rinviato di due mesi e mezzo la riforma Cartabia. Ad esempio, in quella sede ci si è preoccupati di conservare la procedibilità d’ufficio dello stalking quando concorre con un reato che la riforma ha reso procedibile a querela. Peccato che il problema dell’aggravante mafiosa sia stato segnalato solo dopo l’entrata in vigore della riforma e non prima. Ma il tempo e il modo per intervenire c’è. E, come ha esattamente detto il Presidente del Tribunale di Palermo, Antonio Balsamo, non si tratterebbe di sconfessare la riforma, ma di assicurarne la piena funzionalità e quindi di migliorarla. Questo è lo spirito che, in vista del PNRR, dovrebbe animare a mio avviso tutti: dai magistrati, agli avvocati, agli accademici, ai giornalisti.


Si dice: è paradossale che in questi giorni bisogna andare alla ricerca delle vittime e non degli autori di reato. Perdita di tempo e di risorse.


La lunga vacatio legis – di due mesi e mezzo – ha reso ampiamente conoscibile la riforma e ha suggerito di limitare queste ricerche nei soli procedimenti con misure cautelari, per confermarle o meno entro un breve periodo, di soli venti giorni. Le procure hanno avuto mesi per organizzarsi e lo avranno senz’altro fatto. Non vedo nulla di paradossale nella ricerca della vittima, che è soggetto sempre meno ai margini del processo penale, in linea con le indicazioni internazionali.


Eugenio Albamonte sostiene: alla fine non si snellisce la macchina perché quando tutti avranno compreso che bisognerà sporgere querela le scrivanie degli uffici giudiziari saranno di nuovo colme.


Non sono d’accordo. Intanto, se anche tutti presentassero la querela, ci sarebbe sempre la possibilità di una remissione, a seguito di condotte risarcitorie, con conseguente obbligo di archiviare il procedimento o di dichiarare il non luogo a procedere. Le scrivanie si svuoterebbero, quindi. Basta pensare alle lesioni stradali dopo l’intervento del risarcimento da parte delle compagnie di assicurazione. E poi è noto che in molti casi manca semplicemente l’interesse a presentare una querela e a sostenere il peso, anche economico, di un processo. Vogliamo fare un esempio tra mille? Siamo sicuri che il titolare di un supermercato che subisce un piccolo furto, del valore di pochi euro, magari per fame, sia sempre interessato a sporgere querela?


Perché non si è pensata ad una seria depenalizzazione?


Non dimentichiamoci che la riforma Cartabia si è innestata sul disegno di legge Bonafede e che, nella maggioranza che sosteneva il Governo Draghi, erano presenti forze politiche con sensibilità e visioni assai distanti in materia penale, certo non favorevoli ad abolire reati, specie prima di una campagna elettorale. La vicenda dell’abuso d’ufficio è abbastanza significativa, a questo proposito. Se si fosse realizzata una depenalizzazione sui giornali i toni allarmistici riguarderebbero le scarcerazioni dei condannati definitivi per i reati depenalizzati. E poi sa cosa penso? Che quando si parla di depenalizzazione per dare un contributo al dibattito bisognerebbe suggerire quali reati depenalizzare. Parlare di depenalizzazione in astratto serve molto a poco; è un programma politico privo di contenuti concreti. L’estensione del regime di procedibilità a querela è invece un intervento molto concreto, del quale presto vedremo gli effetti di deflazione necessari al sistema penale.


Perché la riforma Cartabia è così sotto attacco secondo lei?


Perché la giustizia penale, purtroppo, e lo dico da studioso appassionato, è un terreno di scontro politico, nel quale tutti pensano di avere la soluzione giusta in mano. E’ un po’ come con il calcio e la nazionale, per fare un paragone che può sembrare ardito ma che si legge nell’incipit di un bel libro scritto qualche anno fa da un maestro del diritto penale tedesco, Winfried Hassemer, intitolato “Perché punire è necessario?”. 


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