«Tra noi magistrati, pochi non hanno ottenuto benefici dal correntismo»
di Valentina Stella Il Dubbio 26 giugno 2020
Non usa mezzi termini per censurare alcuni
comportamenti della magistratura e per criticare il suo attuale assetto
ordinamentale. Giuseppe Cricenti, consigliere di Corte di Cassazione, commenta
duramente le degenerazioni correntizie del CSM, anche alla luce dello scandalo
Palamara.
Dottor
Cricenti si aspettava che lo scandalo delle correnti emergesse con tale
gravità?
La realtà non è emersa nella sua vera gravità: si
cerca di accreditare l’idea che si tratti di un fenomeno di malcostume di
alcuni magistrati o di alcuni gruppi. Invece, è diffuso in tutta la magistratura
e sono pochi quelli che possono dirsene esenti, o che nel corso della loro
carriera non hanno tratto beneficio da un qualche accordo di corrente. Come spesso accade in questi frangenti,
allignano moralisti senza morale, che dopo avere partecipato al sistema se ne
tirano fuori e additano gli altri.
Secondo Lei le correnti andrebbero
sciolte?
Sono, in astratto, espressione della libertà di
associazione, e sarebbe come limitare quest’ultima. Ma non si può negare che si
tratta di associazioni dal ruolo oramai “eversivo”: un organo a rilevanza
costituzionale come il CSM è condizionato da associazioni private e non c’è
delibera che non risponda ad un interesse correntizio. Alcuni di quelli che
hanno beneficiato del sistema, anche oggi, ripetono che le correnti erano sorte
come fucine di pensiero, luoghi attenti allo sviluppo culturale della magistratura,
e che solo di recente sono degenerate in sistemi di spartizione degli incarichi.
Ma è una mistificazione: precisino allora quale modello culturale hanno visto
nascere e coltivare ad iniziativa delle correnti. E soprattutto dimostrino che
gli adepti di ciascuna corrente hanno adeguato i loro comportamenti alla
dottrina di quelle fucine di pensiero.
Al di là
delle prerogative statutarie, Palamara andava sentito sabato nel consiglio
dell'ANM?
Andava sentito certo. È una regola a priori
diremmo di ogni procedimento sanzionatorio che chi è accusato debba avere la
possibilità di dichiarare le sue ragioni.
Il
Presidente di Anm Luca Poniz in una intervista a questo
giornale ha detto che "la carriera ha fuorviato alcuni magistrati ma basta
ipocrisie dalla politica" riferendosi ad esempio alla scelta dei
magistrati nei ministeri.
Ai magistrati le correnti hanno offerto un certo
modello di carriera, fondato sul sostegno del gruppo, piuttosto che sul merito,
requisito ritenuto se non dannoso perlomeno inutile; hanno imposto l’idea che
studiare è un’applicazione del tutto superflua, poiché basta avere amicizie in
un gruppo influente.
I magistrati si sono adeguati. Dunque, non è la
prospettiva di carriera ad aver fuorviato i magistrati. Detto questo, la
politica ha poche colpe, se si allude alla scelta dei collaboratori nei
Ministeri, i quali sono piuttosto indicati dalle correnti che scelti dal
Ministro per simpatie politiche. Ad ogni cambio di ministro c’è tendenzialmente
un cambio di corrente. Basti verificare a quale corrente, ad esempio,
appartengono i diretti collaboratori dell’attuale Ministro.
Sabino
Cassese ha definito le procure un 'quarto potere' indipendente dalla
magistratura stessa.
È vero.
Intanto, a fronte della formale obbligatorietà dell’azione penale, di
fatto le procure scelgono, a volte per fondate ragioni pratiche, a quali
notizie di reato dare precedenza, e questa scelta è di natura “politica”,
incide sugli interessi della collettività e sugli stessi rapporti sociali,
lasciando di fatto impuniti determinati fatti illeciti, e perseguendone altri. Ed è questa un’azione che sfugge al
controllo istituzionale, nella quale le procure operano con una certa
discrezionalità. C’è poi da
considerare il ruolo sociale assunto dai pm negli ultimi anni, che è di maggior
visibilità e di maggior contatto con l’opinione pubblica: mai visto un giudice
delle locazioni diventare il beniamino di una certa quota di popolazione.
Fino ad ora, né il CSM né l’ANM hanno assunto
decisioni chiare sulla caratterizzazione “populista” che le procure rischiano
di assumere: alcuni pm si fanno interpreti degli interessi del popolo ed in
questo modo acquistano un potere che sfugge al controllo della stessa
magistratura.
Quale è il
suo giudizio in merito alla separazione delle carriere?
La separazione delle carriere è in primo luogo
una misura di garanzia e di adeguatezza istituzionale: di garanzia in quanto la
terzietà del giudice passa anche attraverso l’appartenenza di questi ad un
ordine diverso da quello della parte pubblica. Spesso si denuncia l'“appiattimento” del Gip/Gup
sulle richieste del Pubblico ministero: è in gran parte vero. Ed è un esito di
certo condizionato dalla contiguità che l’appartenenza ad un medesimo ordine
favorisce. È una misura di adeguatezza istituzionale, anche, nel senso che si
tratta di due mestieri diversi, e di due ruoli istituzionali diversi.
Si obietta che separando i Pm dall’ordine
giudiziario si finisca con assoggettarli al potere esecutivo. È ovviamente
un’obiezione incongruente: nulla vieta di creare un ordine distinto, con
distinto organo di autogoverno.
Cosa ne pensa
delle allusioni sul Csm fatte trapelare da De Magistris da Giletti?
Il solito argomentare per illazioni: siccome nel
collegio della disciplinare c'era il tale che però è anche citato nelle
intercettazioni, allora vuol dire che la decisione disciplinare è viziata. Oppure
peggio: siccome il tale da me indagato (e poi però assolto) è stato arrestato
per altri fatti allora anche la mia indagine era fondata.
Da un punto di vista giuridico nessuno si fa
suggestionare da queste illazioni, tanto è vero che le sentenze di assoluzione
a favore degli indagati di quell’ex PM non saranno di certo messe in
discussione, ma l’illazione non è uno strumento retorico innocuo: condiziona i
sistemi simbolici di cui fruisce l’opinione pubblica e mina la fiducia nei giudicati.
Sebastiano
Ardita, commentando la scarcerazione di Carminati, ha detto che i cittadini non
capiranno e occorre una riforma per rendere più semplice il sistema penale. Non
le sembra un discorso populista?
Le procedure italiane, ormai da qualche decennio,
producono decisioni formalmente corrette, ma che per l’opinione pubblica
risultano assurde e ciò a prescindere da come vengono divulgate. Da un punto di
vista teorico, il tema è complesso: appartiene alla tradizione liberale l’idea
che la garanzia stia nella forma e non nel contenuto della regola, ma il
problema è l’idea distorta che si ha proprio della forma. Da un punto di vista della politica del
diritto, è vero che ci sono settori della magistratura inclini a pensare che la
giustizia coincida con l’accusa, e che basti quest’ultima per fare
dell’accusato un colpevole. In questa strategia v’è il sostegno di buona parte
dell’informazione. Sicuramente è una forma di populismo giudiziario, ossia di
quel modo ritenuto più semplice perché un magistrato possa assumere le vesti di
interprete delle esigenze e degli interessi del popolo: quest’ultimo vuole
giustizia dei corrotti e dei mafiosi? La semplice accusa soddisfa quel bisogno.
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