«Non è “l’uomo nero”, è stato scarcerato nel rispetto della legge»
di Valentina Stella Il Dubbio 18 giugno 2020
Si svolgerà molto probabilmente
dopo l'estate l'udienza davanti alla Corte d'Appello di Roma del processo bis
di secondo grado al "Mondo di Mezzo" che dovrà rideterminare la pena
per una ventina dei 32 imputati, tra cui Massimo Carminati. La sua scarcerazione
ha riempito le pagine di tutti i giornali e suscitato molte polemiche. Ne
parliamo con il suo difensore Cesare Placanica, che lo assiste insieme al
collega Francesco Tagliaferri.
Avvocato Placanica tanto clamore per nulla, in fondo si è solo
rispettata la legge? Determinate sensibilità nell'opinione pubblica spesso
prescindono dai dati concreti. Quello che si è verificato è in realtà
l'esplicazione di un principio generale non solo del nostro ordinamento
giuridico ma di tutti quelli caratterizzati da un alto tasso di democrazia che
prevedono un limite alla carcerazione preventiva. Tra l'altro in Italia questi
limiti sono estremamente ampi, molto più degli altri Paesi. Qui la carcerazione
preventiva è afflitta da un abuso.
Molti hanno legato la decorrenza dei termini della sentenza 'Mondo di
mezzo' con la scarcerazione di Carminati.
Se c'è un caso in cui la
decorrenza dei termini è assolutamente priva di ogni responsabilità è 'Mafia
Capitale' perché sotto il profilo della tempistica i giudici sono stati molto
celeri. Io sapevo che Carminati sarebbe uscito dal carcere quando è stata
emessa il 22 ottobre 2019 la sentenza
della Cassazione: era impossibile evitare la scarcerazione. Il mio assistito, cadendo
l'accusa di mafia, resta imputato per fatti che non possono consentire una
custodia preventiva oltre i 5 anni e 4 mesi. In quella data ne aveva scontati
quasi 5 e sapevo che era impossibile in 4 mesi pubblicare le motivazioni della
Cassazione, trasmettere gli atti alla Corte di Appello, celebrare il giudizio
di appello bis, trattarlo, scrivere le motivazioni e dare i termini alle parti
per impugnarle.
Però il ministro Bonafede ha inviato gli ispettori.
Questo sistema di mettere
all'indice i magistrati che fanno il proprio lavoro non giova per niente alla
giurisdizione. In qualche modo può condizionare ed intimorire il giudice, messo
nelle condizioni di avere una dote che nessun Paese civile può pretendere da un
giudice: il coraggio. Io ho dedicato gran parte della mia discussione dinanzi
al Tribunale del Riesame nel dire ai giudici: 'verrete criticati aspramente se
applicherete la legge ma so che il vostro senso del dovere non può fare a meno
di rispettarla', nel disporre la scarcerazione di Carminati. Quello di Bonafede
è un messaggio privo di serietà, rivolto ai naviganti, a coloro che non hanno
cognizioni giuridiche: le ispezioni si fanno, non si annunciano. I magistrati
così subiscono il linciaggio dell'opinione pubblica, perchè appaiono non solo
come ingiusti ma anche collusi con un fantomatico sistema che vuole farla fare
franca a Carminati. Spero che l'Anm faccia sentire la proprio voce.
Alfonso Sabella in una intervista al CorSera ha detto: "come
spiegare ad un cittadino comune che, con quel curriculum criminale, Carminati
adesso resti a casa sua?"
Sabella ha premesso che Carminati
è uscito per rispetto delle regole del codice. Però Sabella fa il giudice ma
ogni volta che parla non nasconde la sua natura di pubblico ministero. Credo
che la sua sia una visione assolutamente partigiana che parte da un dato: Carminati
è l'uomo nero, il manovratore di tutte le trame occulte d'Italia e quindi è
ingiustificato che sia libero. Tuttavia uno è un uomo nero, un mafioso, un
omicida solo se è scritto negli atti processuali: se lui mette in discussione
ciò non fa altro che mancare di fiducia alla valutazione della giurisdizione.
La Procura generale della Corte di Appello ha disposto ieri l'obbligo
di dimora per Carminati, che non potrà spostarsi dal Comune di Sacrofano.
Fatico a comprendere questa
decisione perché voglio ricordare che nel processo per l'omicidio Pecorelli
Carminati si era presentato davanti al carcere per costituirsi qualora fosse
stato ritenuto colpevole ed era consapevole che rischiava l'ergastolo; mi
sembra difficile che adesso si dia alla fuga.
Enrico Bellavia su Repubblica ha scritto: "Se le mafie si evolvono
e cambiano pelle, anche la giurisprudenza dovrebbe adeguarsi offrendo strumenti
per qualificare incisivamente ciò che appare come un grado più sofisticato di
consorteria mafiosa".
Mi sembra un discorso illiberale,
da difesa sociale tipico di uno Stato totalitario. Adeguare al fatto concreto l'effettiva
valenza di una norma è una prassi tipica della giurisprudenza. Ma bisogna
tenere presente che tutti i reati associativi sono già reati estremamente
difficili da inquadrare sotto il profilo della condotta. L'essenza di ogni
sistema penale democratico è che il fatto vietato deve essere descritto nei
particolari.
L'arresto di Carminati è finito in tutte le televisioni. La sua
scarcerazione anche. C'è sempre il solito problema della giustizia show?
Nutro grande rispetto per il
diritto di informazione che come tutti i diritti deve incontrare un limite che è
quello del rispetto della dignità dell'uomo. Riprendere e pubblicare l'arresto
di una persona, che è un momento di estrema delicatezza, significa violare
l'intimità e i diritti essenziali
dell'uomo. Nel nostro ordinamento è esplicitamente vietato questo: è una norma
introdotta dopo la pubblicazione di alcune immagini di cui il nostro Paese si deve
vergognare, come l'arresto di Enzo Tortora.
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