Mauro Palma: detenuti e migranti, basta leggi populiste

di Angela Stella Il Riformista 27 giugno 2020


Abbiamo ascoltato Mauro Palma, Presidente del Collegio del Garante nazionale delle persone private della libertà, a margine della presentazione della Relazione al Parlamento 2020.
Dottor Palma uno dei punti evidenziati nella relazione è il concetto di 'speranza'.
Quando tempo fa è uscito il libro " Il diritto alla speranza. L'ergastolo nel diritto penale costituzionale" di cui ho curato la prefazione, ho notato che la Cedu utilizzava l'espressione 'diritto alla speranza' a differenza delle nostre sentenze nazionali. Con soddisfazione in una recente sentenza della Cassazione ho trovato ribadito questo concetto: l'uomo non coincide con la fotografia del reato commesso, altrimenti la finalità costituzionale della pena che deve tendere alla rieducazione sociale del condannato  verrebbe meno.
Mi collego a ciò che ha aggiunto dopo: 'Si va in carcere perché puniti e non per essere puniti'.
Il contenuto della pena è privare della libertà: non si può creare uno spazio per dare al detenuto ulteriori afflizioni.  Io, che pure difendo tutte le forme che evitano le connessioni con le organizzazioni criminali - penso al 41bis -, credo che tutto ciò che è afflizione aggiuntiva non abbia alcuna legittimità.
A tal proposito mi riallaccio alle recenti polemiche sul regime di Alta sicurezza: per Gratteri ad esempio le celle aperte dell'alta sicurezza sono state all'origine delle rivolte.
Tutto ciò che collega meccanismi di apertura con rivolte o con aggressioni è un modo mistificatorio di presentare la realtà. Le regole penitenziarie europee adottate dai Governi chiariscono che una persona, qualunque sia il regime di detenzione, deve stare almeno 8 ore fuori dalla cella. Grave errore fanno quegli istituti in cui stare fuori dalla cella equivale a ciondolare nei corridoi. Il messaggio non deve essere 'rinchiudeteli'  ma 'impegnatevi a proporre attività culturali e lavorative'.  Voglio specificare un aspetto.
Prego
Questo continuare a parlare sempre e soltanto dell'Alta sicurezza e del 41bis, cioè di meno di 10000 persone, rischia gravemente di modulare tutto il carcere intorno a quelle modalità di reclusione.
Forse sarebbe accaduto con Nino Di Matteo a capo del Dap, visto che riteneva di meritare quel posto per la sua lotta contro la mafia.
Non si hanno mai ruoli contro quando si è giudice o si esercita un potere amministrativo delle pene.  Non si può essere una persona contro ma una persona per: la legalità, la sicurezza, la costituzionalità, i diritti delle persone che ha in carico. Non conosco nessun programma di Di Matteo che sia andato al di là degli slogan televisivi e quindi che posso giudicare. È troppo facile riassumere tutto in una boutade televisiva.
Tornando al tema della speranza, essa viene a mancare se il numero degli ergastolani ostativi è di 1.258.
L'ostatività è un termine che non mi piace affatto perché uccide la speranza. Bisogna in qualche modo, come ha fatto la Corte Costituzionale in una recente sentenza -  e spero che prosegua su questa linea -  abolire  quella connessione tra rimozione dell'ostatività e funzione di collaborazione attiva all'inchiesta.
Sono stati 13 i detenuti morti durante le rivolte. Lei ha parlato di 'evento tragico che è stato rapidamente archiviato, quasi come effetto collaterale delle rivolte".
Nel nostro Paese non si avevano così tanti morti da decenni per le rivolte. Il nodo della discussione si è concentrato su di esse e su chi le abbia organizzate ma non sul fatto che 13 vite si sono consumate. Ho nominato un perito legale: non ho motivi per supporre che la causa di morte  sia dissimile dall'abuso di farmaci. Ma non è un evento normale l'assalto ai farmaci, non si può archiviare.
Mi ha colpito quando ha posto l'accento sul dover "far evolvere quella che viene definita frettolosamente 'pubblica opinione' e che rappresenta spesso la motivazione per un agire politico che non si pone il problema della crescita culturale e civile, ma solo quello dell'adesione preventiva al presunto consenso". La sua è anche una critica ai decreti 'emergenziali' presi dal Governo dopo diverse 'scarcerazioni'?
In tema di penalità sono contrario a tutti i decreti emergenziali, soprattutto se di aggravamento. La penalità non può essere la risposta al sentimento popolare. Occorre avere nervi saldi. Rispetto ai decreti sulle 'scarcerazioni' se andiamo a ricostruire l'iter mi sembra che ci troviamo dinanzi al classico esempio in cui si è partiti da cose strillate, questioni di opinione pubblica che in qualche trasmissione televisiva debordavano fino ad arrivare a dei provvedimenti frettolosi. Queste situazioni non sono state collocate all'interno di quel momento che era di grande sviluppo del contagio per cui era giusto che si pensasse che le persone che potevano essere a rischio dovessero essere considerate con una particolare attenzione. A prendere le decisioni è stata la magistratura o vogliamo pensare che si sono messe d'accordo tutte le corti in una specie di disegno di trattativa? Siamo alla fantapolitica! È chiaro che i magistrati hanno preso delle decisioni anche sulla spinta della diffusione del virus. Passata l'emergenza quelle decisioni potevano essere riviste ma non c'era bisogno che qualcuno con un decreto imponesse loro di rivederle. Avrebbero fatto da soli.
Ha toccato anche il tema dei decreti sicurezza: "Il Mediterraneo rischia tuttora di rimanere teatro di violazioni" ha detto.
Quando ad una nave che ha salvato delle persone viene negata la possibilità di entrare nei confini, altrimenti ci sono sanzioni altissime, non si distingue tra questa e una nave commerciale; se si considera il salvataggio di una ong come una azione di una realtà non inoffensiva si disincentiva la possibilità di salvataggio in mare. E così si ha una responsabilità sul maggior numero di morti.
I numeri 2019 mostrano la discrasia tra quante persone sono state ristrette nei cpr e quante effettivamente rimpatriate.
La direttiva europea per i rimpatri dice che una persona che deve essere forzatamente rimpatriata può essere privata della libertà. Però aggiunge che se non c'è previsione del rimpatrio quella privazione della libertà non ha più un elemento legittimante. Allora per quel 51% di persone non rimpatriate come giustifichiamo la privazione della libertà? Durante l'emergenza covid non c'erano voli disponibili: qual era il senso della privazione della libertà finalizzata al rimpatrio se il rimpatrio non sarebbe potuto avvenire?

di AS

Le 408 pagine della Relazione al Parlamento 2020 da parte del Garante Nazionale dei diritti delle persone detenute o private della libertà personale sono un richiamo alla "urgenza di vedere, visitare" quei luoghi di solitudine, di marginalità, di confine tra i buoni e i cattivi, tra i fortunati e gli sfortunati, tra i sani e i vulnerabili. Era stato Piero Calamandrei, ricorda il Presidente Mauro Palma, a dire 'bisogna aver visto' per parlare di carcere ma anche per "affermare in concreto quell'altrettanto imperioso riconoscimento di tutti allo stesso corpo sociale che nessun muro mentale o materiale può far venire bene". E allora addentriamoci nella relazione esposta dal collegio del Garante -  Mauro Palma, Daniela De Robert, Emilia Rossi  - alla presenza della Presidente della Corte Costituzionale, della Vicepresidente del Senato, della Ministra dell’interno e del Ministro della giustizia. Innanzitutto la relazione è stata illustrata nella giornata internazionale della lotta contro la tortura. A conoscenza del Garante nazionale, tre Procure di Italia - Napoli, Siena, Torino - hanno aperto ognuna un procedimento penale ravvisando il delitto di tortura in atti di violenza e di minaccia compiuti da operatori della Polizia penitenziaria nei confronti di persone detenute. Il Garante nazionale ha ribadito che "il contrasto di ogni percezione di impunità che può maturare nelle comunità chiuse del carcere o negli altri luoghi in cui si eserciti il potere repressivo dello Stato e l’isolamento degli episodi illeciti, sono il corollario necessario, anche sul piano culturale, del riconoscimento del valore del servizio di vigilanza e di cura esercitato da tutte le Forze di polizia del Paese". Rimanendo sempre in ambito penale è da rilevare che "attualmente, vi sono 867 persone detenute che scontano una pena inferiore a un anno e 2.274 una pena compresa tra uno e due anni (parliamo di pena inflitta e non di un residuo di pena maggiore). Così come vi sono 13.661 persone detenute che hanno un residuo di pena inferiore a due anni. Situazioni che pongono interrogativi circa il loro mancato accesso a misure alternative e che fanno emergere una dimensione ‘classista’ del sistema ordinamentale". A questi numeri occorre purtroppo aggiungere quelli relativi ai suicidi: 25 dall'inizio dell'anno che, seppur in una visione parziale, sono superiori all'anno scorso. Un dato a parere di scrive grave è che dei 55 detenuti che si sono suicidati nel 2019, ben 20 erano ancora in attesa di primo giudizio. In merito al sovraffollamento, grazie alle novità legislative introdotte, al 29 febbraio 2020 le persone detenute erano 61230 e sono scese al 23 giugno a 53.527. La capienza regolamentare è tuttavia di 50472 posti.  Per quanto concerne invece l’ambito della privazione della libertà delle persone migranti "nel 2019 il numero delle persone trattenute in un Cpr è aumentato di 2.080 unità rispetto all’anno precedente e, fatta eccezione per Trapani e Roma-Ponte Galeria, è cresciuto anche significativamente il tempo di permanenza media delle persone all’interno dei Cpr".


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