«Cari avvocati, lavorare nel pubblico non è un ripiego ma un prestigio»

 di Valentina Stella Il Dubbio 10 aprile 2021

 

Per l’avvocato Antonella Trentini, Presidente di Unaep – Unione Nazionale Avvocati Enti Pubblici  – «lavorare nel pubblico è un prestigio, dovrebbe essere una ambizione soprattutto per i giovani colleghi». E sull’avvocato in Costituzione: «è la battaglia delle battaglie»

 

Presidente, a febbraio da questo giornale il Presidente dell’Aiga ha detto che molti vostri colleghi «sono ormai pronti a cambiare lavoro, e tanti non lo hanno ancora fatto solo perché aspettano magari la ripresa dei concorsi pubblici. Si sono rassegnati». Lei vi ha letto una svalutazione del lavoro degli avvocati pubblici?

 

Sono rimasta dispiaciuta e amareggiata da questa affermazione del presidente De Angelis, soprattutto quando ha parlato di ‘rassegnazione’. Comprendo perfettamente la preoccupazione e il dramma degli avvocati: la libera professione è ormai in crisi da qualche anno e l’emergenza pandemica ha peggiorato la situazione. Tuttavia entrare nella pubblica amministrazione (P.A.) non deve essere considerato un ripiego perché la nostra P.A. è ricca di professionalità, compresi gli avvocati. La professione forense è unica: sia che la si eserciti all’interno di un P.A. sia che lo si faccia nel libero foro. Lavorare nel pubblico è un prestigio, dovrebbe essere una ambizione soprattutto per i giovani colleghi. E poi non dimentichiamo che i concorsi per accedere tra gli avvocati pubblici sono difficili ed estremamente selettivi. E ultimamente a concorrere non sono stati solo giovani avvocati ma anche colleghi con diversi anni di esperienza alle spalle.

 

Quindi bisognerebbe modificare la visione culturale per la vostra particolare categoria?

 

Inizialmente eravamo vissuti un po’ come figli illegittimi dalla famiglia forense; questo accadeva soprattutto quando la libera professione forense era molto più vantaggiosa sul piano economico e delle soddisfazioni. Poi c’è stato un cambiamento, dalla modifica del titolo V della Costituzione intorno agli anni 2000. Da allora si è avuta una complessità di compiti istituzionali, una iperattività normativa,  la necessità di assistenza legale specialistica: tutto questo ha comportato che le P.A. sentissero il bisogno di una propria difesa e consulenza legale incardinata. Col passare degli anni da figli illegittimi siamo diventati più considerati e oggi, con le difficoltà che segnalava il presidente dell’AIGA, concorrere ad un posto per avvocato dipendente è addirittura visto come una soluzione.

 

Al di là di queste differenze, quanto invece sarebbe importante inserire l’avvocato in Costituzione soprattutto agli occhi di un’opinione pubblica che sempre più svilisce la funzione difensiva?

 

È la battaglia delle battaglie. Se ci fosse un segnale da parte della politica verso l’inserimento dell’avvocato in Costituzione, posto sullo stesso piano del magistrato, la funzione  – come dice lei – acquisirebbe una grandissima importanza. Ad oggi invece sappiamo che l’unica funzione nota e rispettata nell’immaginario collettivo è quella della magistratura.

 

Se un pm accusa qualcuno, quel qualcuno è sicuramente colpevole. Mentre l’avvocato è solo un azzeccagarbugli.

 

Esatto. Ed è per questo che qualche giorno fa ho auspicato che la Ministra Cartabia sia coraggiosa e inserisca gli avvocati in Costituzione. Bisogna ragionare sulla funzione e non sulla categoria: senza portare sullo stesso piano l’avvocatura e la magistratura qualsiasi riforma della giustizia è impensabile. Se c'è disomogeneità tra i protagonisti dell’esercizio della giurisdizione non potremmo ambire a nessuna riforma innovativa in termini di civiltà giuridica.  Così come in Costituzione è contemplata la ‘magistratura’ allo stesso modo deve esserlo l’ ‘avvocatura’. La funzione forense è fondamentale per la tutela dei diritti delle persone. E una riforma come quella dell'avvocato in Costituzione potrebbe ridare slancio alla professione in questo momento di crisi.

 

Secondo Lei il raggiungimento di questo obiettivo potrebbe essere inficiato dalla polemica che ha investito alcuni avvocati che si sono vaccinati grazie però a disposizioni pubbliche regionali?

Se parliamo della riforma dell'avvocato in Costituzione ci riferiamo alla funzione; se parliamo dei vaccini invece il riferimento è alla persona, al soggetto singolo. Credo che la polemica sia stata circoscritta solo alla Toscana ma quanto accaduto ci fa percepire come una lobby, e in questo particolare momento storico non è certo un bene.

Però non crede anche Lei che in realtà si stia chiedendo di vaccinare un operatore della giustizia per far sì che la macchina dei processi non si fermi, non rallenti come ci chiede l'Europa?

Sono d'accordo ma mi permetto di esprimere anche delle perplessità in merito: non dimentichiamo che da circa un anno quasi nessuno va in Tribunale, sono pochi i giudizi in presenza. Quindi bisogna trovare una via di mezzo.  A mio parere due potevano essere le strade da percorrere per la categoria dei magistrati e per quella degli avvocati: o rispettare le fasce di età o vaccinare  - mi passi il termine  - per 'materia', partendo dal settore penale.

Una delle proposte del CNF al Recovery è quella di porre la persona e il suo bisogno di tutela al centro del sistema giustizia. Lei è d'accordo?

Certamente. Credo che si faccia l'avvocato perché lo si sceglie, non perché non ci sono alternative. Io ancora oggi mi emoziono pensando al giorno del mio giuramento e al brivido che ho vissuto in quel momento: noi siamo al servizio della Nazione e degli interessi delle persone che la compongono, non dell'efficientismo e dell'informatizzazione, che sono conseguenze del nostro lavoro. La Nazione non è un'entità astratta, ma 60 milioni di cittadini con i loro diritti e garanzie che spetta a noi tutelare. Noi svolgiamo un servizio pubblico: non a caso quando ci sono gli scioperi ci sono le precettazioni. Concludo quindi dicendo che il dovere dell'avvocato è quello di curare con lealtà, onore, diligenza, dignità, lealtà, decoro gli interessi delle persone. 

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