Femminicidio, difende il marito e la insultano
di Valentina Stella Il Dubbio 4 febbraio 2020
Non nasconde il suo turbamento l’avvocata Daniela Serughetti che da
qualche giorno è oggetto di violenza verbale sui social a causa
dell'esercizio della sua professione: «Non mi sarei mai aspettata
racconta al Dubbio
- una reazione del genere. È doloroso essere oggetto di insulti e
minacce solo per aver svolto il proprio lavoro». L’odio social si è
scatenato dopo la sua decisione di proporre impugnazione innanzi alla
Corte d'Assise d'Appello di Brescia per il suo assistito Ezzedine
Arjoun, condannato in primo grado all’ergastolo per l’omicidio della
moglie Marisa Sartori, uccisa a coltellate il 2 febbraio dell’anno
scorso a Curno. Per l’avvocata non c’è stata premeditazione,
né maltrattamenti e violenza sessuale, ma il merito dei motivi di
appello poco importa in questa sede. «I realtà – prosegue Daniela
Serughetti – ho presentato l'atto d'appello a dicembre ma la notizia è
stata pubblicata pochi giorni prima della ricorrenza della morte della
vittima, andando così a stimolare una reazione di pancia in molti
cittadini». Ed infatti, soprattutto su Facebook, a commento di alcuni
articoli pubblicati su testate locali si leggono post di questo tenore:
“Una donna come avvocato, vergognati – chiuderei i legali in gabbia
con lui – non ha dignità, lo fa solo per soldi - fate alla figlia
dell’avvocato quello che lui ha fatto a Marisa”.
Fra le variabili del populismo giudiziario che confonde la funzione
del difensore con la figura dell’imputato, c’è infatti anche quella che
stigmatizza le avvocate che difendono uomini
indagati o imputati di reati dove le vittime sono altre donne. «Quando
decido di accettare un incarico non lo faccio da avvocato- donna, ma
semplicemente da avvocata. In merito alle minacce: chiedere la morte
per la figlia del legale è davvero sconcertante. Queste persone non
conoscono quanto sia stato difficile affrontare questo processo e non
mi riferisco solo al punto di vista tecnico. Non sanno delle notti
insonni trascorse a comprendere come affrontare al meglio una difesa che avrebbe potuto, anzi, sicuramente
avrebbe urtato la sensibilità dei familiari delle vittime. Se solo
sapessero quanto è massimo lo sforzo che tutti noi avvocati infondiamo
nel garantire a chiunque, anche a chi è etichettato come il peggiore
dei ' mostri', il diritto alla difesa e ad un giusto processo, come la
Costituzione prevede. Velleità di arricchimento e di notorietà in un
procedimento penale - ove il mio assistito è, peraltro, ammesso al
patrocinio a spese dello Stato - così sensibilizzato dall'opinione
pubblica comprensibilmente avversa a questa tipologia di reati sono
prive di logica».
Purtroppo il ruolo dell’avvocato sta subendo molti attacchi, da diverse
parti, istituzionali e non. «Noi ricopriamo un importante ruolo sociale
nella tutela delle garanzie - continua l’avvocata - ed è per questo che
non mi lascio toccare da queste minacce e proseguo nel mio lavoro,
spero in futuro senza ulteriori clamori. Le parti di questo processo,
tutte, meritano rispetto». Storie come questa ne raccontiamo molte e
«alla base - dice ancora Daniela Serughetti - non c’è tanto un
analfabetismo giuridico, non pretendo infatti che le persone conoscano i
meccanismi del processo; credo invece che alla base si soffra di un
grave analfabetismo culturale, si ignorano i basilari principi
costituzionali che non tutelano solo i cosiddetti ' mostri', ma tutti
quanti noi”. Solidarietà all’avvocata Serughetti è giunta da colleghi di
tutt’Italia, dalle Associazioni Forensi sia locali che nazionali e in
particolare dal Comitato Pari Opportunità dell’Ordine degli Avvocati di
Bergamo: “vicinanza e solidarietà alla Collega, che si è trovata a
subire attacchi verbali di inaccettabile e inimmaginabile gravità da
parte degli utenti delle reti social. Ciò solo perché ha esercitato ed
esercita, con correttezza e piena consapevolezza deontologica il
diritto di difesa di cui all'art. 24 della Costituzione in favore di un
proprio assistito, annunciando l'impugnazione di una sentenza che
condanna quest'ultimo alla sanzione più grave prevista dal nostro
ordinamento”.
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