Così il processo a Ciontoli è diventato un circo politico-mediatico
Di Valentina Stella Il Dubbio 16 febbraio 2020
Nell’arco di un anno il Ministro
della Giustizia Alfonso Bonafede ha promosso due azioni disciplinari nei confronti di altrettanti magistrati che con
funzioni diverse sono intervenuti nel processo a carico di Antonio
Ciontoli e famiglia, accusati di omicidio per la morte di Marco Vannini.
La storia è nota, anche perché ha
ricevuto un interesse mediatico molto grande: tra il 17 e il 18 maggio 2015, Marco
Vannini, di soli 20 anni, muore dopo essere stato ferito accidentalmente da un
colpo di pistola nella casa della sua fidanzata, Martina Ciontoli, a Ladispoli.
A sparare fu Antonio Ciontoli, sottoufficiale di Marina e padre della ragazza.
Come emergerà dagli atti, il giovane si sarebbe potuto salvare ma la famiglia Ciontoli
tarderà per più di una ora a chiamare i soccorsi. In primo grado Ciontoli è
stato condannato a 14 anni di carcere per omicidio volontario con dolo
eventuale e la famiglia – la moglie Maria Pezzillo, Martina e il fratello
Federico – a 3 anni per omicidio colposo. In appello
pena ridotta per lui a 5 anni perché il reato è stato derubricato in omicidio
colposo con l’aggravante colpa cosciente. Pochi giorni fa la Cassazione
ha deciso che il processo d’appello va rifatto, le motivazioni tra 30 giorni.
Non vogliamo qui entrare nel
merito della questione. Riteniamo però necessario raccontare come questa storia
abbia toccato profondamente diversi ambiti istituzionali e sociali. Partiamo
appunto da quanto detto in premessa.
Qualche giorno fa Le Iene hanno reso noto che Bonafede avrebbe
promosso una azione disciplinare nei confronti di Alessandra D’Amore, la pm che ha condotto le prime indagini
sull’omicidio di Marco Vannini. La pm potrebbe aver violato i doveri di
diligenza e laboriosità creando un ingiusto danno ai genitori del ragazzo morto
a 20 anni. Al magistrato verrebbe contestato di aver svolto in maniera
superficiale l’inchiesta, non mettendo sotto sequestro la casa dei Ciontoli e
non raccogliendo importanti testimonianze, che invece sarebbero state portate
alla luce dalla trasmissione di intrattenimento di Italia1. Il magistrato
avrebbe già chiesto di essere ascoltato e la richiesta potrebbe essere accolta
nei prossimi giorni.
Un anno fa era stato il
turno del presidente della giuria di appello, Andrea Calabria, che aveva prefigurato alla madre della vittima
il rischio di un “giro a Perugia”, ossia una denuncia per oltraggio alla Corte,
qualora avesse continuato a urlare
“vergogna” di fronte alla lettura della sentenza che aveva ridotto la condanna per
Ciontoli.
Dopo la sentenza di appello tanto
criticata, il Ministro aveva voluto incontrare a via Arenula i genitori e i
cugini di Marco Vannini “per esprimere la mia vicinanza di fronte alla tragedia
che ha sconvolto la loro vita”.
Il Guardasigilli non è l’unico ad
essere intervenuto nella vicenda. L’ex Ministro
Salvini aveva definito sui social ‘vergognosa’ la sentenza di appello e dieci
giorni fa nell’aula di Cassazione seduta in prima fila accanto ai parenti del
giovane Vannini c’era l’ex Ministro
della Difesa, Elisabetta Trenta, che quando era in carica aveva assicurato
che Ciontoli non sarebbe mai stato reintegrato.
La domanda sorge spontanea:
quanta serenità avranno i giudici di appello chiamati a pronunciarsi tra qualche
mese nuovamente sul caso?
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