Quando le buone pratiche aiutano a coltivare la speranza degli ultimi
di Valentina Stella Il Dubbio 12 febbraio 2020
«Tutti
hanno sempre diritto a un'altra chance e ognuno deve fare la sua
parte. Sento anche io il dovere di costruire questa chance. La persona
che entra il carcere lascia fuori il delitto che ha commesso e
intraprende un altro percorso. Una società democratica dà sempre
un’altra possibilità a tutti», così il Presidente della Camera Roberto
Fico ha concluso lo scorso 10 febbraio il convegno spettacolo de “Gli
Ultimi Saranno”, tenutosi all’Aula dei nuovi gruppi parlamentari a
Roma.
Il tema
dell’incontro era: “Laboratori creativi e buone pratiche in carcere”.
Gli “Ultimi Saranno” è un collettivo nato nel 2018 da una idea
dell’onorevole del Movimento 5 Stelle Raffaele
Bruno ed è composto da artisti, musicisti, attori. Il progetto ha
l’obiettivo di creare e potenziare i legami tra la società civile e
gruppi di persone appartenenti a realtà socialmente periferiche, come i
detenuti. E proprio il carcere è stato il primo luogo di
sperimentazione del progetto: 20 sono gli eventi realizzati sino a
questo momento in 15 strutture diverse e altri 9 ne sono in programma.
«Anche chi viene messo ai margini deve avere la libertà e la speranza
di immaginarsi chi vuole essere dopo. Non dobbiamo mai permettere a
nessuno di mettere un bollino a qualcuno, tutti siamo momentaneamente
in una situazione, e da questa posizione ci si può evolvere» ha detto
l’onorevole Bruno, che poi ha lasciato la scena a cantanti, musicisti,
attori che per tre ore hanno deliziato il pubblico con la recitazione di monologhi teatrali, lettura di brani, performance musicali, quasi tutte della tradizione napoletana.
Tra loro detenuti di istituti minorili, maschili e femminili, ma anche
Maurizio Capone, fondatore del gruppo musicale i “Capone &
BungtBangt”, che suona utilizzando solo strumenti fatti con materiali
riciclati, per spiegare che «niente e nessuno è un rifiuto».
L’evento è stato l’occasione per rilanciare una mozione a
prima firma Raffaele Bruno che deve ancora essere calendarizzata:
nell’atto si chiede al governo di «supportare le amministrazioni
penitenziarie nell’organizzazione di progetti con finalità culturali,
concentrandosi in particolare sui laboratori teatrali», con la
prospettiva di definire un quadro normativo per gli operatori
all’interno delle carceri e rendere il teatro «parte integrante delle
struttur» ”.
A sostegno
dell’impegno dell’onorevole Bruno e del collettivo ( gliultimisaranno.
it) è intervenuta anche la ministra dell’Istruzione Lucia Azzolina:
«L'importanza della scuola in carcere è una necessità e deve essere
un'opportunità. Penso con gratitudine ai docenti impegnati in queste
classi, così come a quelli che insegnano negli ospedali. La loro
passione supera le barriere, rimuove gli
ostacoli, ci fa sentire comunità che accompagna questi giovani e non li
lascia soli”. A fine ottobre scorso Azzolina e Bruno hanno ottenuto
l'invio da parte del Miur di una circolare che permette di giustificare
le assenze dei figli che vanno a trovare i genitori in carcere».
Ma il vero senso della riconciliazione della società con coloro che
hanno sbagliato lo ha incarnato la storia di Lucia Montanino. Gaetano,
il marito, conosciuto sui banchi di scuola lavorava come guardia
giurata e fu ucciso mentre era al lavoro la sera del 4 agosto 2009 a
Napoli da quattro giovanissimi che volevano rapinargli la pistola.
Aveva 45 anni, una bambina ancora piccola. Antonio invece era il più
giovane del commando: diciassette anni, fu catturato e condannato a 22
anni. Se al compimento del venticinquesimo anno di età non è stato
trasferito dall'istituto minorile di Nisida a Poggioreale è stato anche
grazie a Lucia, e al suo rapporto di riconciliazione.
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