Intervista a Eriberto Rosso

 di Valentina Stella Il Dubbio 6 agosto 2021

Per l'avvocato Eriberto Rosso, Segretario dell'Unione delle Camere Penali italiane, se da un lato la riforma di 'mediazione Cartabia' « segna una inversione di marcia rispetto al passato», dall'altro lato «quali operatori del diritto processuale penale cogliamo le debolezze tecniche di alcune delle soluzioni previste. Lavoreremo su queste nei singoli processi, allorquando si risolveranno in una compressione del diritto di difesa».

In linea generale che voto possiamo dare a questa riforma?

Il voto è composito. Da un punto di vista strettamente politico raggiunge la sufficienza. Abbiamo ben compreso quali sono state le difficoltà e la forte opposizione alla quali la Ministra Cartabia ha dovuto resistere. Mi riferisco alle iniziative di alcune forze della maggioranza e di una parte della magistratura, che hanno tentato di mantenere intatto l'impianto della delega Bonafede non solo sul tema della prescrizione ma anche su quegli interventi specifici su aspetti disciplina processuale che nulla avevano a che vedere con la ragionevole durata del processo. La riforma comunque, seppur frutto di un compromesso, segna una inversione di marcia rispetto al passato, soprattutto perché toglie di mezzo la sciagurata norma che aboliva la prescrizione dopo il primo grado. Si tratta di un passo avanti politico e culturale contro il giustizialismo che ha caratterizzato il quadro politico. Noi delle Camere penali, però, siamo sì un soggetto politico ma prima di tutto siamo avvocati penalisti impegnati quotidianamente nei processi; e dunque, quali operatori del diritto processuale penale cogliamo le debolezze tecniche di alcune delle soluzioni previste. Lavoreremo su queste nei singoli processi, allorquando si risolveranno in una compressione del diritto di difesa. Penso alla possibilità del giudice di appello di prorogare il termine di prescrizione sulla base di presupposti indicati dalla legge in modo generico: la questione di costituzionalità è evidente, anche se, probabilmente tenendo conto anche delle nostre osservazioni, è stata introdotta la previsione del ricorso in Cassazione contro il provvedimento di la proroga.

Quali sono gli aspetti positivi?

La struttura del processo di appello ha retto all'improvvida iniziativa di chi voleva introdurre la critica vincolata. È poi apprezzabile la previsione che sia il Parlamento, e non gli Uffici di Procura, a dettare linee generali per le priorità di trattazione dei casi penali, così come positiva è l’adozione della nuova regola di giudizio per l'udienza preliminare. Importante il controllo del giudice sulla data di iscrizione e la maggiore certezza del tempo delle indagini, oltre all’ampliamento dei meccanismi di giustizia riparativa. È deludente invece la parte sui riti premiali: rispetto al progetto Bonafede si poteva fare davvero molto di più, come noi avevamo proposto in sede di consultazioni, in questo trovando convergenze anche con l'ANM. In particolare si doveva e si poteva estendere la possibilità del ricorso al patteggiamento e modificare la regola per la prova nel giudizio abbreviato condizionato. Vedremo se questa partita è chiusa o se il Legislatore si renderà conto che senza un rilancio dei riti speciali non si avrà una significativa diminuzione delle cause penali a dibattimento.

Condivide le critiche di alcuni giuristi sugli effetti dell'improcedibilità?

Ribadisco che questa non è la riforma prospettata dall'avvocatura penale. Noi avevamo proposto il ritorno con correttivi alla prescrizione sostanziale; sarebbe stata soluzione in linea con la nostra tradizione giuridica, peraltro avanzata, quale una delle possibili risposte, anche dalla Commissione Lattanzi. Comprendo alcune delle critiche mosse da autorevoli studiosi ma la prescrizione processuale non è uno scandalo ed era una delle opzioni in discussione. Si tratta di una via più contorta, meno lineare, ma che comunque raggiunge l'obiettivo di cancellare la Bonafede e nuovamente il termine, ora di improcedibilità, tornerà ad essere un elemento di riferimento che segnala al giudice e alle parti che oltre quel tempo il processo non può andare. Vero tema è la mancanza di qualsiasi correlazione tra il tempo del primo grado e quello dei gradi successivi.

Ma non le sembra troppo complesso e incostituzionale il sistema dei doppi e tripli binari?

La vecchia prescrizione diversificava per fasce, a seconda della gravità dei reati. Con la riforma salta la diversificazione ma si introducono, come Lei ricorda, inaccettabili doppi e tripli binari.

Però qui partiamo da due premesse: la Bonafede aveva eliminato la prescrizione e l'Europa ci chiede di ridurre del 25% la durata dei giudizi penali. Inoltre in Senato, ad esempio, Movimento 5 Stelle e Anm vorrebbero giocare un'altra partita per ampliare la fascia di reati con tempi più lunghi per il processo.

La riduzione dei tempi del processo si potrà ottenere solo con i significativi investimenti, che dovranno agire sui tempi morti: aumento del numero dei giudici, finalmente soluzioni per ovviare alle carenze strutturali. Prospettare altre deroghe su deroghe significa voler tornare alla Bonafede; chi fa queste proposte ha questo obiettivo. 

Nel vostro documento di Giunta scrivete che occorre vigilare sui decreti attuativi, soprattutto per quanto concerne l'appello. Quali sono i rischi?

Vigileremo perché con i decreti delegati non si tenti di riformare il Libro delle impugnazioni fuori da ogni logica sistematica. Chi pone al centro l’efficienza senza qualità mette in discussione la funzione principale dell’appello penale: ridurre il rischio degli errori giudiziari. L’ordinamento sovranazionale ci ricorda che è proprio del sistema accusatorio il diritto dell’imputato a rivedere valutate le ragioni della sua condanna. In questo contesto, contrario a questi principi è l'appello del pubblico ministero avverso le sentenze di assoluzione. La Corte Costituzionale si è già espressa su questo punto, ma nel frattempo il quadro è mutato. La stessa Commissione Lattanzi aveva prospettato l'abolizione dell'appello del pubblico ministero. È una battaglia alla quale noi non rinunciamo, come non rinunceremo alle altre nostre battaglie: dalla separazione delle carriere alle riforme per l’effettività delle garanzie difensive, proprie di una concezione liberale del diritto penale e del processo.

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