Delitto di Via Poma: l'assassino è nelle carte
di Valentina Stella Il Dubbio 18 agosto 2021
Il 7
agosto 1990 la giovane Simonetta Cesaroni veniva uccisa in un appartamento al terzo piano del
complesso di via Carlo Poma n. 2 a Roma. Il caso rimane irrisolto. Oltre trent’anni
sono trascorsi da quel giorno: diverse piste, nessun colpevole, un mistero
italiano forse secondo solo a quello del mostro di Firenze. Da qualche giorno è
uscito un nuovo libro sul caso: 'Via Poma - Inganno Strutturale tre', scritto
dal criminologo Carmelo Lavorino, edito dal CESCRIN (Centro Studi
Investigazione Criminale). Il professore si è interessato professionalmente ad
oltre duecento casi d'omicidio, fra cui appunto
il delitto di Via Poma, come consulente dell'indagato Federico Valle e dell' imputato
Raniero Busco.
Professor Lavorino come mai a
tanti anni di distanza un nuovo libro sul delitto di via Poma?
Ho scritto il libro per diversi
motivi. Innanzitutto come contributo all'individuazione del colpevole e per
fare chiarezza sul marasma di notizie imprecise che girano attorno al caso.
Ecco perché invito il lettore a infilarsi anima, mente, occhi e spirito critico
nel fatto criminoso-giudiziario, per analizzare, indagare, comprendere e
collaborare alla soluzione del caso con idee, suggerimenti, quesiti e ipotesi
serie. Sicuramente l'ho scritto per
definire il punto della situazione e lo stato dell'arte, per confutare i metodi
di soluzione del caso adottati sinora e che hanno portato a ben poco, per
esporre e riproporre il metodo di analisi investigativa criminale sistemica e
di soluzione dei casi basato sull’interconnessione, l’armonia e l’interazione delle scienze criminologiche,
criminalistiche, investigative e di intelligence. Il titolo è “Inganno strutturale tre” perché è la terza volta che mi
immergo nel labirinto enigmatico di Via Poma dove ho individuato
l'errore-inganno a tre facce battezzato “Inganno strutturale. Tale definizione nel nostro caso
significa “L’induzione in errore di chi cerca la verità ottenuta tramite linserimento,
all'interno della struttura dell’enigma e degli elementi che la compongono, di falsi
indizi, di falsi elementi, di falsi indicatori del crimine”.
L'inganno strutturale è stato
gestito abilmente da “qualcuno” non per coprire il colpevole, ma per salvare l'immagine e i segreti di
qualche dipendente dell'AIAG (Associazione italiana alberghi gioventù) dove
lavorava saltuariamente dal 20 giugno 1990 Simonetta Cesaroni. Anzi, questo “qualcuno” era superconvinto che
l'assassino fosse proprio il portiere Pietrino Vanacore.
Chi è questo qualcuno?
Non è certamente l'assassino e
non protegge l'assassino. Nel libro ne parlo in modo esaustivo. È un gruppo di
specialisti che ha surclassato e depistato anche i vertici della Polizia, un
gruppo coordinato che indico come “Burattinaio Invisibile + Manina Manigolda”, una combinazione che ha creato
e fatto prosperare l'inganno strutturale e depistato anche il Pm. In seguito il
Pm, incanalato nell'alveo scavato e forte del proprio potere di coordinamento
delle indagini e decisionale, ha commesso una serie di errori, sino a puntare
l'innocente Federico Valle e non comprendere che il sangue sul telefono fosse
proprio dell'assassino e non della vittima, che l'orario della morte di
Simonetta poteva essere anticipato alle ore 16:30-17, che la questione delle
telefonate fra una donna che diceva di essere Simonetta con altre persone era
oscura e ingarbigliata.
È ancora possibile risolvere il
caso di via Poma? E se sì, come?
Il caso può essere risolto se e
solo se: si seguono le indicazioni investigative che fornisco nel libro; si
evita di personalizzare l'indagine continuando a coprire chi ha sbagliato e/o
barato. Occorre essere umili, corretti, onesti e freddi.
Qual è il profilo dell'assassino?
Parlerei di tre profili, perché
in Via Poma vi sono stati tre comportamenti criminali: I) quello
dell’assassino, un comportamento del tipo disorganizzato, compulsivo ed
espressivo di distruttività, rabbia e over killing; II) quello della
combinazione pulitrice complice dell'assassino, mirato ad alterare la scena, a
depistare, a fuorviare i sospetti, a cancellare le tracce e fare sparire le
prove se non, addirittura, il cadavere; III) quello della combinazione (alias
“qualcuno”) che ha coperto i segreti, le attività, la posizione e la figura di
alcuni soggetti dell'Aiag e che aveva il convincimento che l'assassino fosse
proprio il portiere. Il combinato disposto di questi tre comportamenti ha
impedito la soluzione del caso.
L'assassino ha prodotto le
ecchimosi, le ferite, la morte, le macchie di sangue sul pavimento, sul corpo,
sulla porta e sul telefono; il complice ha cancellato molte tracce con l'opera
di pulizia; un gruppo di specialisti ha poi nascosto, omesso, fuorviato e
inquinato.
Comunque, il profilo
dell'assassino è il seguente: ha l’uso naturale ed efficiente della mano
sinistra, ne ha tendenza all’uso; è un impulsivo, con una fortissima autostima,
non ammette di essere contraddetto e/o rifiutato; si presenta come gentile e
cordiale, ma è sempre vigile e attento, pronto alla iperdifesa ed allo scontro;
aveva le chiavi dell’AIAG per motivi propri, di occasionalità pregressa o per
attività di qualche suo familiare o conoscente; non ha alibi fra le 16:00 e le
17:00, oppure il suo alibi non è stato descritto e/o controllato a dovere; è
privo di empatia; ha goduto di complicità e di copertura; il suo gruppo
sanguigno è A DQAlfa 4/4, si è ferito (molto probabilmente è stato ferito da
Simonetta proprio col tagliacarte che poi diviene l'arma del delitto), ha
sporcato di sangue il telefono della stanza n° 3.
Giusto per chiarezza, l'assassino
non è il portiere Pietrino Vanacore.
Potrebbe avere ucciso altre
volte?
Chi uccide una volta per perdita
del controllo in un contesto di aggressione sessuale può avere la c.d.
“coazione a ripetere”. Quindi, è probabile che abbia ucciso qualche prostituta,
ma con un altro modus operandi.
Invece qual è il profilo della
vittima?
Era una ragazza a basso rischio,
intelligente, cordiale, bella, che era molto osservata dagli uomini.
Conosceva la vittima? In che
rapporti era con Lei?
Sicuramente l'assassino godeva
della fiducia della vittima per una serie di motivi che ho enunciato nel libro.
Qual è il movente dell'omicidio?
Tutto nasce dalla situazione: l’assassino
è di fronte a Simonetta, pronto all'aggressione sessuale. Simonetta resiste, si
oppone, molto probabilmente afferra il tagliacarte e ferisce l'aggressore,
oppure, col suo comportamento e con le sue parole ferisce l’uomo in modo
profondo, umiliante e devastante: la rabbia del soggetto ignoto sale da zero a
mille. La colpisce alla tempia con uno
schiaffo inferto con la mano sinistra, Simonetta sviene. L'assassino la
spoglia, poi il suo pensiero va al peggio: quando la ragazza si riprenderà lo
denuncerà e lui non può permetterselo. Si scopriranno troppi altarini: avrebbe
troppo da rimetterci. Esplode il suo Es, selvaggio ed arcaico, contenitore
delle sue pulsioni indicibili: autoconservazione e istinto di sopravvivenza,
egoismo, punizione e volontà distruttiva. È sull’orlo del precipizio, sulla via
del non ritorno. Prende il tagliacarte e
dà il via al rito appetitivo della 29 pugnalate, cambiando zona di appoggio e
zone del corpo.
Si tratta quindi di omicidio
strumentale per tacitazione testimoniale e per vendicarsi dell'insulto subito.
Il contesto è nell'ambito dell'aggressione sessuale e del litigio.
Qual è l'arma del delitto?
È un tagliacarte, ed è il
tagliacarte rinvenuto dalla Polizia nella stanza n° 3, sul tavolino di lavoro
della dipendente AIAG Maria Luisa Sibilia. Questo tagliacarte la mattina del 7
agosto, sino alle ore 15 era introvabile, poi è stato usato per uccidere
Simonetta e, infine, dopo l’attività di lavaggio è stato disposto sul
tavolinetto della stanza di Maria Luisa Sibilia: è ovvio che solo il soggetto
ignoto (l’assassino o il rassettatore) ha potuto disporre il tagliacarte sul
tavolinetto della Sibilia: questo significa che sapeva che era di Maria Luisa Sibilia
ma non che la mattina era stato cercato dalla proprietaria e non trovato.
L'assassino è ancora vivo secondo
Lei? Fu interrogato ai tempi del delitto?
Il nome dell'assassino è nelle
carte.
Aveva un complice?
Come ho già detto il complice è
il soggetto pulitore-rassettatore, colui il quale ha pulito l'ambiente ed ha
lavato il tagliacarte per poi rimetterlo a posto, sul tavolino di lavoro della
dipendente AIAG Maria Luisa Sibilia.
Quali sono stati i maggiori
errori investigativi?
Tanti. Ne elenco alcuni: puntare
solo sul portiere; il sopralluogo incompleto, inadeguato e arruffato; le
fotografie scattate in numero minimo e nessuna documentazione per ogni stanza;
il computer su cui lavorava Simonetta messo sotto controllo tardivamente; le
sviste e le omissioni del medico legale (non prendere le temperature
cadaveriche ed ambientali ogni dieci minuti; non comprendere che l'assassino
avesse usato la mano sinistra; non analizzare il contenuto gastrico; non
tamponare le ecchimosi e i graffi della vittima per la ricerca di saliva; non
consegnare i reperti “calzini, reggiseno e top di pizzo sangallo della vittima
alla Polizia scientifica); l'appartamento dissequestrato dopo solo sei giorni;
la scomparsa delle scarpe della vittima non analizzate e della cartellina di
lavoro della stessa; la mancata individuazione e la non consapevolezza che il
sangue sul telefono fosse gruppo A DQAlfa 4/4, quindi dell'assassino; non
valutare che l'orario del delitto potesse essere prima delle ore 17 e che la
famosa telefonata delle ore 17:05 di Simonetta alla Berrettini poteva essere
stata fatta un'ora prima e/o che fosse un bluff magistrale.
Senza questi errori quindi forse
sarebbe stato catturato?
Sicuramente sì!
Molto mistero ruota ancora
intorno alla morte di Peppino Vanacore. Lei che idea si è fatto di quest'uomo,
della sua condotta dopo il delitto e della sua morte?
Non ritengo che sia l'assassino,
sicuramente sapeva qualcosa e, come disse il capo della squadra mobile Nicola
Cavalire “Di dritto o di rovescio doveva entrarci”.
Vanacore si è suicidato, può
essere suicidio per depressione, per perdita dei meccanismi di autodifesa, per
protesta; per una specie di sindrome di Beck allargata: sfiducia nel futuro, in
se stesso, negli altri, nel mondo e nella giustizia.
Può essere suicidio per
autotacitazione testimoniale, quindi a favore delle persone che in via
ipotetica avrebbe potuto danneggiare con le proprie rivelazioni; per rimorso se
avesse egli taciuto in parte o totalmente la terribile verità di cui era
custode geloso, così impedendo l’accertamento dei fatti e quindi
l’individuazione del colpevole.
La logica induce a ritenere che
Vanacore si sia assunto responsabilità altrui e che abbia voluto pagare per
tutti.
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