Respinta definitamente l’istanza della Romania: non è garantito lo spazio vitale minimo al recluso

di Valentina Stella Il Dubbio 5 agosto 2020

Tre anni fa avevamo raccontato la storia di un cittadino rumeno che, sebbene condannato nel suo Paese per una serie di reati, essendo domiciliato in Italia non fu consegnato alla Romania in quanto lo Stato richiedente non garantiva nelle celle lo spazio minimo vitale per un detenuto, ovvero i tre metri quadrati calpestabili. Come appurò la Corte di Appello di Brescia, scontare una pena in quelle condizioni avrebbe significato sottoporre il detenuto a trattamenti inumani e degradanti, in violazione dell'articolo 3 della Cedu e dell'articolo 4 della Carta dei Diritti fondamentali della Ue. «Nel frattempo - dicono i suoi legali Alessandro Bertoli e Mauro Bresciani - la giurisprudenza prevalente è andata in direzione opposta e molti rumeni sono stati rimandati in patria nonostante persistano relazioni negative del Comitato europeo per la Prevenzione della Tortura».

Infatti, come si legge in un report del 2019, ' un gran numero di accuse

di maltrattamenti fisici ( molti dei quali corroborati da prove mediche) da parte di agenti di polizia sono state ricevute dalle persone detenute. Le accuse consistevano principalmente in schiaffi, pugni, calci e colpi di manganello inflitti da agenti di polizia contro sospetti criminali sia al momento dell'arresto o durante l'interrogatorio in una stazione di polizia” per ottenere una confessione. Ciò è dimostrato anche dalla memoria difensiva dei due avvocati in cui si rende noto il contenuto di una videoregistrazione in cui si vede che il loro assistito al momento dell'arresto riceveva ' calci al torace e alla testa, schiacciamenti del capo, tirate forti dei capelli' da parte degli agenti rumeni. Inoltre le condizioni di detenzione in alcuni centri vengono definite “inaccettabili” dal Cpt: ' Le celle erano generalmente fatiscenti e in uno stato di degrado, scarsamente ventilate, maleodoranti, con alti livelli di umidità e inadeguato accesso alla luce naturale. I servizi sanitari erano anch'essi in cattivo stato igienico e nella maggior parte dei casi non suddivisi dal resto della cella'. Tra i casi più allarmanti osservati direttamente dal Cpt vi è “ad esempio, quello della prigione di Bacu, dove 18 giovani in detenzione preventiva vengono trattenuti in una singola cella fatiscente e sovraffollata di soli 26 m2. Questi uomini sono confinati nella loro cella per 21- 22 ore al giorno per mesi e mesi. La loro situazione è simile a quella degli animali in gabbia”.

Nonostante questa situazione ' l’autorità giudiziaria rumena ha richiesto nuovamente la consegna del nostro assistito, ma coraggiosamente la Corte d’Appello di Brescia per la seconda volta ( e ora definitivamente) ha respinto l’istanza con passaggi motivazionali assai significativi'. Due sono quelli più importanti: il primo è che, come rilevato dalla difesa, nulla è cambiato rispetto allo spazio vitale offerto al detenuto: ' le informazioni fatte pervenire a questa Corte sono praticamente sovrapponibili a quelle fatte pervenire nel 2016', si legge nella motivazione della sentenza del 15 luglio, ora irrevocabile. La stessa Corte di Appello rileva che avrebbe fatta salva l'eventualità di una diversa decisione nel caso in cui, entro un “termine ragionevole”, fossero pervenute nuove indicazioni. Questo ulteriore punto è importante spiegano gli avvocati Bertoli e Bresciani «perché pur essendo possibile in ambito di mandato d’arresto una pronuncia di rifiuto della consegna “allo stato degli atti”, caratterizzata, quindi, dalla precarietà, la Corte ha stabilito che il cittadino straniero non resta con una spada di Damocle sulla testa per un tempo indeterminato, ma può semmai subire per una seconda volta la richiesta di rimpatrio per espiare la pena se le condizioni carcerarie mutano nel suo Paese in un tempo breve. Una distanza di tre anni, per giunta a condizioni invariate, è stata ritenuta di per sé irragionevole dal collegio bresciano».

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