Calogero Mannino: Il mio amico Falcone era stufo di Palermo, così lo portai da Cossiga
di Angela Stella Il Riformista 18 agosto 2020
Da trent'anni
l'ex Ministro leader della Democrazia Cristiana, Calogero Mannino, è sotto
processo: prima per concorso esterno in associazione mafiosa, poi per aver
trattato con i mafiosi. Sono arrivate 14 assoluzioni e archiviazioni ma i discepoli
di Gian Carlo Caselli non mollano la presa. Lui però fu grande amico di
Giovanni Falcone, come racconta Cossiga in vari libri tra cui 'Cossiga mi ha
detto' di Renato Farina che scrivendo del suo rapporto con il magistrato disse:
" Chi lo ha introdotto nelle stanze del Viminale era l'allora Ministro
Calogero Mannino che ne era grande amico. Da allora è cominciata una
frequentazione stretta con Falcone il quale, checché ne pensi la sorella Rita,
era democristiano. Più precisamente era democristiano amico di Mannino".
Lei ha dichiarato all'Adnkronos: "Fui
io a portare il giudice Giovanni Falcone all'allora Presidente della Repubblica
Francesco Cossiga".
Non si tratta
di una mia opinione ma di ciò che Cossiga ha scritto ripetutamente a partire da
'La passione e politica' di Piero Testoni: "non ricordo come e perché, ma
rammento bene che ad un certo punto i miei rapporti con Falcone si andarono
incrementando. Forse da quando lo condusse da me al Quirinale il mio e suo
amico, Lillo Mannino. [...] Perché Falcone non voleva più rimanere a Palermo
dopo le accuse di insabbiamento rivoltegli dalla sinistra, Mannino pensò che
sarebbe stato più utile che Falcone venisse nella capitale". Purtroppo dobbiamo constatare che in questi
anni alle testimonianze di verità che sono state rese da personaggi scomodi
come Cossiga si è preferita invece la finzione della narrazione che una
cosiddetta antimafia, a partire dai procuratori e dai sostituti, ha fatto.
Ma Martelli disse: "Cossiga disse di
aver avuto lui l'idea di chiamare Falcone. Non è vero. Il nome di Falcone lo ha
fatto, a me come a Cossiga, il professore di Bologna Giuseppe di Federico".
Giuseppe Di
Federico ha avuto un grande merito in questa vicenda. Falcone avrebbe dovuto
essere nominato mentre era ancora Ministro della Giustizia Giuliano Vassalli
che non potette perfezionare la nomina perché sopravenne la sua nomina a
giudice costituzionale. Ma Vassalli aveva manifestato l'esigenza di liberare la
Direzione generale degli Affari penali spostando il magistrato che la deteneva
alla Direzione degli Affari civili. Il che avvenne con l'inizio dell'anno
nuovo: quando fu nominato Martelli in sostituzione di Vassalli, Cossiga gli
fece presente che era in corso la nomina di Falcone. Martelli non perse
l'occasione; mentre semmai ci fu qualche esitazione - e mi tengo prudente perché non intendo
relativizzare il merito storico di Claudio Martelli - ad accettare da parte di Falcone. Il professore
di Federico, autorevole amico di molti socialisti perché socialista e membro
del Csm, ma anche amico di Falcone, svolse una azione di tranquillizzazione di
qualche scrupolo che poteva avere Falcone, che da giudice istruttore aveva
archiviato una indagine a carico di Martelli per i fatti relativi alle elezioni
politiche del 1987 a Palermo. Per completezza di testimonianza mia personale
posso dire che Falcone, una volta nominato, stabilì il miglior rapporto
possibile con Martelli: divennero amici e qualche volta io ci scherzavo sopra.
Non si abusa troppo del nome e del
pensiero di Giovanni Falcone? E qual era il suo rapporto con lui?
È tanto
abusato, che io ho sempre preferito non parlarne. Per conoscere il mio rapporto
con lui ci si può affidare ai libri di Cossiga che ne fu testimone. Ed a molti
altri documenti.
Possiamo tornare su quello che diceva
prima sulla narrazione di certa antimafia?
Già
all'inizio degli anni '90 Caselli ed Ingroia avevano scritto un volumone 'La
vera storia di Italia'(Edizioni Pironti) in cui vengono raccontati tutti i
processi che si sono svolti,poi, da quando Caselli assunse il vertice della
Procura della Repubblica di Palermo insieme ai sostituti che si sono riuniti
attorno a lui: quel circolo sopravvive ancora. Si sono chiusi in un cerchio che
ha una caratterizzazione di tipo pseudo-ideologico. Sono partiti con
l’obbiettivo di mettere sotto processo una parte della Democrazia
Cristiana - quella che non tornava utile
all'alleanza con il Partito Comunista e certamente al partito socialista di
Craxi - . E ci lasciò le penne pure Claudio Martelli. Tutti processi,
casualmente, coincidenti, mercè le stragi del '92,con disegni politici che
hanno riguardato gli assetti politici ed economici d’Italia.
A proposito di Ingroia, in una
trasmissione condotta anni fa da Michele Santoro, l'ex pm le disse: " Lei
è stato risparmiato perché la trattativa è andata avanti ed è stato ucciso
Paolo Borsellino. Questa è la verità". Oggi cosa si sente di dire ad
Ingroia?
Ad Ingroia
non ho nulla da dire: parlano le due assoluzioni di primo e secondo grado, in
questo ultimo processo subito: Mannino con la Trattativa non c'entra per
niente, ne è stato una vittima,adesso aggiungo.
Lei in quella trasmissione gli diede del
'mascalzone' e lui replicò 'sarà querelato, e quello della diffamazione
sarà uno dei tanti reati che si porterà dietro'.
Non risulta
che mi abbia querelato.
La sua storia giudiziaria dura ormai da 30
anni. Quante assoluzioni e archiviazioni ha collezionato?
Complessivamente
sono 14. Vicende nelle quali sono stato trattato ingiustamente.
Dopo due assoluzioni contro l'accusa di
minaccia a Corpo politico dello Stato, la Procura ha fatto comunque ricorso in
Cassazione. L'udienza forse a dicembre 2020. Non è accanimento questo?
Queste due
sentenze sanciscono chiaramente la mia assoluta estraneità alla Trattativa o
alla pseudo trattativa. E confido nel giudizio saggio della Cassazione. Che sia
un accanimento è una constatazione ovvia.
Quelle due sentenze riscrivono anche la
sua storia.
Riscrivono
tutta la narrazione che si è voluta fare di me per la ragione politica che la
svolta della storia con la caduta del muro rendeva possibile, bisognava
togliermi di mezzo, per togliere di mezzo la Democrazia Cristiana.Ero il leader
politico che aveva conseguito due vittorie una sull'altra. Nel '91 alle
elezioni regionali in cui spuntava in Sicilia la ‘rete’ e nel '92 alle
elezioni politiche: la Democrazia
cristiana vide ridurre i propri consensi in tutte le regioni, in Sicilia il
consenso fu mantenuto uguale ed arrivava per quella linea e direzione politica
che io rappresentavo e portavo avanti insieme a tanti altri amici, come il
compianto Rino Nicolosi, e come l'attuale Presidente della Repubblica, Sergio
Mattarella.
Ad accusarla per la Trattativa sono stati
i pm Vittorio Teresi, Nino Di Matteo e Roberto Tartaglia. Secondo Lei i pm
hanno dunque uno strapotere che va ad incidere anche sulla politica di un
Paese?
Lo strapotere
sta già nel possesso assoluto, esclusivo dell'avvio dell'azione penale. Volendo
fare un discorso spersonalizzato, il problema in Italia è che l'azione penale
in quanto obbligatoria non è sottoposta ad alcun vaglio, ad alcun sbarramento
di controllo, essendo quello del gip meramente formale e ripetitivo.
Secondo Lei quale potrebbe essere un
antidoto a questo strapotere?
Cossiga aveva
posto il tema con il suo messaggio al Parlamento a metà del '91: il punto
decisivo è che la carriera del pubblico ministero non può essere intestina al
corpo giudicante.
Sarebbe d'accordo con la separazione delle
carriere?
Certo, e poi
bisognerebbe prevedere una disciplina dell'azione penale: deve rimanere
obbligatoria ma sottoposta a vincoli e criteri di controllo. Proprio il vostro
giornale ha il merito di aver ripreso in Italia una sacrosanta battaglia,
quella per la giustizia senza pregiudiziali ideologiche e politiche. Nel '92
alcune Procure lavoravano per ratificare la sanatoria, rispetto alla storia, di
quello che era stato il partito comunista e si accingeva a divenire altro sino
all’odierna versione post-populista.
A proposito di riforme, il ddl Bonafede
sul nuovo Csm sembrerebbe rafforzare la corporazione dei pm, come hanno fatto
notare sia l'Ucpi che Magistratura Democratica.
Si tratta di
una riforma che un Parlamento con un’altra maggioranza di altro profilo avrebbe
rispedito al mittente.
Rimanendo in ambito Csm, qual è il suo giudizio sulla polemica
sollevata da Nino Di Matteo con Bonafede per non essere stato nominato capo del
Dap?
Entrambi
hanno sostenuto qualcosa che è in fortissima contraddizione, o meglio opposizione:
se vera una, l’altra no; se fosse vero quello che dice Di Matteo, il minimo
sarebbero le dimissioni di Bonafede. E viceversa. Entrambi hanno compiuto
qualcosa che in altri tempi sarebbe stata ritenuta gravissima e sanzionata da
severe conseguenze.
E tutto è avvenuto in uno show televisivo.
Ormai si
stempera tutto. Giletti, che crede di aver avuto il merito di avere messo a
fuoco questa vicenda, ha contribuito invece a renderla soltanto un fatto del
grande cortile che è la televisione.
A proposito di stampa, Giovanni Fiandaca
commentando la sua assoluzione scrisse di 'relazione incestuosa tra buona parte
dei media e gli uffici di procura'. Secondo Lei c'è stata e c'è ancora
una sorta di trattativa tra stampa e pm?
C'è un
circuito regolare: ci sono carriere di magistrati che si spiegano con le
carriere dei giornalisti. E viceversa. Ci sono quotidiani che hanno assunto
ormai il ruolo e la funzione di organo portavoce di questa o quella Procura. O
comunque di quelle Procure della Repubblica che rientrano dentro un determinato
circolo, quello caselliano per intenderci.
Le sue assoluzioni non hanno avuto la
stessa eco mediatica delle indagini e processi a suo carico.
Ormai la
stampa italiana ha lasciato soltanto al Riformista il merito di parlare dei
fatti giudiziari che non rispondono alla linea pregiudiziale assunta da questi
grandi organi di stampa e a quella linea di servizio del circolo giudiziario
che menzionavo prima.
Cosa Le ha fatto più male in questi 30
anni?
La mia vita è
stata portata via. I pubblici ministeri di quel circuito mi hanno messo una
croce addosso nel 1991 e la porto ancora
oggi.
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