Intervista a Tania Groppi
Valentina Stella dubio 5 magggio 2025
La professoressa Tania Groppi, ordinaria di Istituzioni di diritto pubblico presso l’Università di Siena e membro dell’Associazione Italiana Costituzionalisti, è tra gli oltre 250 giuspubblicisti che hanno sottoscritto un documento per stigmatizzare fortemente il dl sicurezza, nel merito e nel metodo, e che ha unito avvocatura, magistratura accademia.
Professoressa, lei e i suoi colleghi contestate la necessità e urgenza del decreto. Ci può spiegare meglio?
In Italia, il principio della separazione dei poteri attribuisce, come è proprio di qualsiasi Stato democratico di diritto, il potere legislativo al parlamento. E questo risponde al principio democratico, per cui le decisioni politiche che impattano su tutta la comunità, ancor più se in materia penale, debbono essere adottate nel luogo in cui le diverse opinioni si confrontano in modo trasparente, attraverso procedure che consentano a tutti i parlamentari di far sentire la loro voce, e anche di ascoltare la società civile, attraverso le audizioni. La possibilità, per il governo, di adottare “in casi straordinari di necessità e di urgenza” provvedimenti provvisori con forza di legge, prevista dall’art. 77 Cost., rappresenta una eccezione. L’allontanamento, nei decenni, della prassi da quanto stabilito dalla Costituzione è stato a più riprese stigmatizzato dalla Corte costituzionale, che ha via via messo a punto una giurisprudenza sempre più incisiva, ben sintetizzata nella sentenza n. 146 del 2024, che ne costituisce un punto di arrivo esemplare. Ci sono, però, casi più o meno evidenti di scostamento dai requisiti previsti dall’art.77: quello in questione rientra tra i più gravi e netti. Siamo di fronte a una prova di forza del governo, finalizzata ad esautorare il parlamento e a creare uno stress-test per le istituzioni di garanzia, Corte costituzionale e Presidente della Repubblica.
Quali sono i principi costituzionali lesi dalla norma in discussione?
Oltre alla questione, gravissima, dell’utilizzo dello strumento del decreto-legge, che viola il principio della separazione dei poteri, ci sono i contenuti. Sotto un titolo non corrispondente al contenuto (mi riferisco alla versione “breve”, con cui è noto, “Decreto-sicurezza”), si camuffano una serie di norme penali che sono finalizzate a reprimere il dissenso e la protesta, in contrasto, tra gli altri, con gli articoli 1, 17 e 18 della Costituzione. Mi pare particolarmente grave proprio l’impatto sul diritto alla protesta: un diritto che spesso costituisce l’ultima risorsa in contesti di involuzione autoritaria che svuotano le istituzioni rappresentative e di garanzia. In Italia questi canali (istituzioni rappresentative e di garanzia) sono ancora aperti, ma ciò non riduce l’importanza del diritto alla protesta come forma di partecipazione popolare diretta in una società democratica, da garantire e proteggere.
Condivide il parere del prof avv. Vittorio Manes che in audizione alla Camera ha parlato di “allontanamento dal modello di Stato di Diritto” e di “avvicinamento allo Stato di polizia”?
Senza dubbio siamo di fronte a un intervento che si allontana dal modello dello Stato costituzionale di diritto, ovvero dal modello disegnato dalla nostra Costituzione, secondo il quale il diritto penale è da utilizzare nel rispetto del principio di proporzionalità e non rappresenta lo strumento ordinario nel rapporto tra Stato e cittadini, bensì uno strumento straordinario, per reagire a comportamenti individuali devianti. Mi colpisce particolarmente, e mi turba, il fatto che il governo abbia scritto e portato avanti norme manifestamente incompatibili con la giurisprudenza costituzionale in materia penale degli ultimi anni, ignorandola. Vedo anche in questo atteggiamento, in questa evidente e volontaria ignoranza di quel che ha detto la Corte costituzionale, oltre che nel contenuto puntuale dei singoli articoli, una sfida allo Stato di diritto, come mai abbiamo visto all’opera finora in Italia.
Secondo Openpolis «il governo Meloni ha raggiunto il numero più alto in valori assoluti di decreti legge pubblicati nelle ultime 4 legislature (84)». Adesso le polemiche sul dl sicurezza. Inoltre, non è detto che la maggioranza usi anche una tagliola per seppellire tutti gli emendamenti presentati dalle opposizioni al Senato sulla riforma costituzionale della separazione delle carriere. Lei avverte il rischio di strappo alla democrazia in una logica autoritaria da parte di questa maggioranza e di questo Esecutivo?
Siamo in un’epoca storica nella quale, purtroppo, molti governi stanno cercando di liberarsi dai limiti che le costituzioni democratiche hanno introdotto proprio per evitare la tirannia della maggioranza, l’autoritarismo, l’arbitrio. Paradossalmente, essi cercano di giustificare tali azioni richiamandosi allo stesso principio democratico. Le maggioranze, anche le più risicate, come quella che il governo italiano rappresenta (corrispondendo a 12.305.014 voti su 58.997.201 abitanti, ovvero al 20,85% della popolazione italiana), non negano di per sé il principio democratico, ma cercano di manipolarlo, per portare avanti un’agenda politica che vede al primo posto il mantenimento del proprio potere. Esiste una “circolazione” di tale modello neo-autoritario, che si propaga da un paese all’altro, una sorta di alleanza antidemocratica. Le cause sono profonde e da indagare, perché ci mostrano la fragilità di quel che abbiamo costruito a partire dal Secondo dopoguerra. Se dobbiamo riflettere sulle lacune della democrazia costituzionale e su come renderla più forte e radicata, ciò non toglie che la prima cosa da fare per chi crede in essa sia resistere ai tentativi di annientarla. Da qui anche il nostro appello.
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