Magistrati di sorveglianza sfiduciati da Bonafede

di Angela Stella Il Riformista 15 maggio 2020

"Un atto di sfiducia nella magistratura, in particolare di quella di sorveglianza. E comunque un provvedimento superfluo": è chiara la posizione di Marcello Bortolato, presidente del Tribunale di Sorveglianza di Firenze, in merito alle ultime decisioni del Ministro Bonafede.
Secondo Lei il lavoro della magistratura di sorveglianza cambierà?
Non nella sostanza. Siamo abituati da sempre a gestire detenuti di particolare pericolosità. Semplicemente di fronte ai diritti fondamentali quale quello alla salute, siamo tenuti a bilanciare la tutela del diritto con le esigenze della sicurezza sociale. Nella forma, e psicologicamente, ci sentiremo all’angolo, col fiato sul collo, tenuti con ogni nostro comportamento a dimostrare che la tutela dei diritti non significa un  cedimento alla criminalità ma è anzi, come riteniamo, il miglior antidoto a quella. Ricordiamo che contro il terrorismo lo Stato ha vinto con le armi del diritto e del rispetto della Costituzione.
Qual è il suo giudizio sui due decreti Bonafede?
Un atto di sfiducia nella magistratura, in particolare di quella di sorveglianza. E comunque un provvedimento superfluo, posto che già i magistrati di sorveglianza sono tenuti a riesaminare i provvedimenti di differimento della pena basati su questioni di salute, sempre adottati “allo stato degli atti” e con un termine di scadenza tarato sulle esigenze terapeutiche del condannato.
I magistrati si sentiranno sotto pressione?
È palese il monito psicologico di questi interventi normativi: “di voi non ci si può fidare!”. Non escludo che qualche collega possa sentirsi intimorito ma voglio sperare che sappia assumere ogni decisione sempre nel pieno rispetto delle leggi che è il nostro unico vincolo.
I magistrati di sorveglianza sono considerati diversamente dagli altri?
È certamente così: immagini se un giorno, per decreto legge, si stabilisse che una sentenza di condanna  o di assoluzione dovesse essere rivalutata al di fuori delle ordinarie impugnazioni, previste anche in questi casi. Se il motivo del legiferare fosse l’idea che della magistratura non ci si può fidare, ci sarebbe una rivoluzione. Una legge non può dire che una decisione del giudice è sbagliata e dunque deve essere rivista un attimo dopo averla presa. Come nel caso Englaro: il decreto legge venne fermato dal Capo dello Stato. La timidezza delle reazioni è il segnale che il magistrato di sorveglianza non è percepito come un giudice.
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Lascio parlare i numeri: di 376 scarcerati, ben 195 non ancora condannati dunque presunti innocenti. Dei rimanenti 181, solo 3  erano sottoposti al 41 bis dei quali uno è un 85enne malato ed un altro un 78enne con meno di 9 mesi di pena ancora da scontare. Tra tutti gli altri certamente alcune personalità di spicco, ma pensare che i giudici, sia del merito che della sorveglianza, non abbiano svolto con cura i necessari accertamenti prima di decidere è, appunto, un atto di sfiducia. Inoltre i numeri dei rigetti delle istanze è di gran lunga più elevato.
Ieri il Guardasigilli ha detto: "mai scaricato nulla sulla magistratura di sorveglianza".
Dall’inizio della pandemia siamo tra i pochi uffici giudiziari che hanno continuato a lavorare a pieno regime, anche più di prima, pronti a rispondere alle migliaia di richieste dei detenuti. La legiferazione a raffica di questi ultimi mesi ha certamente scaricato sui nostri uffici, già gravemente provati da carenze di uomini e mezzi, una responsabilità ulteriore, spesso indotta dalla volontà politica di non affrontare una volta per tutte la questione carceraria.

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