Ma quale boss, non ha mai ucciso nessuno
Di Angela
Stella Il Riformista 12 maggio 2020
“Pasquale Zagaria non ha mai ucciso nessuno, si è costituito, e ha tenuto
in carcere una buona condotta. Figuriamoci se ora, che ormai la pena volge al
termine, abbia intenzione di sottrarsi alla giustizia”: così raccontano al Riformista i suoi avvocati, Lisa Vaira e
Andrea Imperato. L’uomo, affetto da un
grave tumore alla vescica, ora è in detenzione domiciliare in attesa di un
intervento che aspettava da tempo. Non c’era alternativa alla
‘scarcerazione’: in mancanza di indicazioni di altra struttura idonea da parte
del Dap era necessario “evitare di creare gravi, e non più rimediabili,
conseguenze per la salute del detenuto”. Molti lo dipingono ancora come un
boss, ma Zagaria è solo un recluso “che ha attivamente partecipato a tutti
protocolli di rieducazione e risocializzazione”.
Avvocati
potete spiegarci come sono andate le cose, cosa ha portato alla detenzione
domiciliare?
Vaira: La
procedura, che ha condotto all'applicazione della detenzione domiciliare di
Pasquale Zagaria, nasce quando, diagnosticata la grave patologia dopo numerose
difficoltà (la sintomatologia risaliva a luglio 2019, ma la diagnosi è stata
formulata solo a fine ottobre 2019), chiedevo, a novembre 2019, al Magistrato
di Sorveglianza di verificare, interrogando la Direzione Sanitaria della Casa
Circondariale di Sassari, se tale struttura penitenziaria fosse nelle
condizioni di poter garantire l’esecuzione dei relativi trattamenti sanitari. A
seguito di questa richiesta, qualificata
d'ufficio come procedura di differimento pena ex artt. 146 – 147 c.p., faceva
seguito l’iscrizione di ulteriori due procedimenti, uno d'ufficio dal
magistrato, dopo l'audizione del detenuto, e altro su istanza degli avvocati
Sergio Cola e Andrea Imperato. Tali
procedure venivano riunite, facendovi confluire nel relativo fascicolo numerose
memorie, corredate da documentazione medica; tra la presentazione della prima
richiesta di verificare l’idoneità della struttura penitenziaria a fornire una
offerta trattamentale adeguata alla gravità della patologia, al momento del
provvedimento applicativo della detenzione domiciliare temporanea, sono state
riscontrate difficoltà di gestione della patologia e degli effetti collaterali
delle cure, che sono state sempre irregolari, discontinue e mai tempestive, determinando uno stato di afflizione e
sofferenza ulteriore a carico del detenuto.
Imperato: Per
questa ragione, veniva da noi difensori di Pasquale Zagaria avanzata al Dap,
per il tramite della Procura della Repubblica di Napoli, specifica e dettagliata
istanza di trasferimento del detenuto presso altra struttura penitenziaria che
potesse garantirgli i trattamenti sanitari di cui necessitava in un ambiente
adeguato alla patologia. La Procura della Repubblica di Napoli, quindi, letta
l’istanza provvedeva, prima dell’emergenza COVID-19, a trasmettere, con parere
favorevole e, relativo, nulla osta, la nostra richiesta al Dap. Nel frattempo, il Tribunale di Sorveglianza
di Sassari espletava lunga e articolata istruttoria, interpellando
costantemente i sanitari, e richiedendo all'area sanitaria carceraria e al Dap
l'individuazione di altre strutture penitenziarie che potessero garantire la
prosecuzione delle cure che, dall’inizio dell’emergenza COVID-19, si erano
definitivamente interrotte perché il reparto di urologia dell'AOU di Sassari
veniva adibito a centro sanitario COVID-19”.
Come
abbiamo scritto da queste pagine il nulla osta della Procura di Napoli al
Dap viene trasmesso il 20 febbraio. Ma il Dap non risponde. Quindi si arriva
poi alla decisione del 23 aprile del magistrato Riccardo De Vito.
Vaira: Si
sono tenute quattro udienze presso il Tribunale di Sorveglianza con rinvii di settimana
in settimana; si sono acquisite relazioni dall'area sanitaria, il cui
responsabile, da ultimo con comunicazione del 23 aprile, ribadiva, come già
anticipato il 31 marzo, l'impossibilità di proseguire le cure a Sassari e in
altri centri della Sardegna, compreso l'Ospedale Brotzu di Cagliari (che
rispondeva dichiarando di non poter accogliere nuovi pazienti), confermando “la
indifferibilità del programma diagnostico – terapeutico previsto”. Il Tribunale
di Sorveglianza di Sassari, in considerazione dell’istruttoria compiuta e, in
particolare, delle relazioni mediche dell’Area Sanitaria della Casa
Circondariale di Sassari, concedeva, peraltro con il parere favorevole della
Procura Generale di Sassari, il differimento della pena in regime di detenzione
domiciliare temporanea per la durata di cinque mesi, per consentire a Zagaria
di curarsi autonomamente.
Quindi il differimento non è collegato strettamente all’emergenza
Covid?
Vaira: Il
Tribunale è giunto a tale decisione non solo per la patologia tumorale e il
rischio di gravi conseguenze da contagio COVID-19, rientrando, ovviamente, il
quadro clinico dello Zagaria tra quelli a cui è riconnesso un elevato rischio
di complicanze legate all’infezione da Covid-19, ma anche, e sopratutto, perché
le cure erano state interrotte a febbraio e non era più possibile né effettuare
gli accertamenti prescritti, né proseguire gli ulteriori trattamenti presso
l’istituto penitenziario sassarese.
Non
si poteva aspettare qualche altro giorno per trovare una struttura idonea?
Imperato:
È evidente, dalla lettura delle relazioni mediche acquisite agli atti del
procedimento, il cui contenuto è dettagliatamente riportato nell’ordinanza, che
non si poteva attendere oltre, perché si trattava di accertamenti e interventi
sanitari, definiti dal responsabile dell’Area Sanitaria della Casa
Circondariale, indifferibili. Pertanto, il Tribunale, con un provvedimento
assolutamente ineccepibile dal punto di vista della corretta applicazione della
norma penale di riferimento e del rispetto dei parametri costituzionali e
convenzionali, sui quali si è diffusamente intrattenuto per operare un equo bilanciamento
degli interessi costituzionali in gioco, ha, a nostro avviso, correttamente
disposto la misura della detenzione domiciliare temporanea al fine di evitare
di creare gravi, e non più rimediabili, conseguenze per la salute del detenuto,
tutelata come diritto primario della persona dall’art. 32 della Costituzione. In sostanza, il nostro assistito
fin dal primo momento si è limitato esclusivamente a chiedere di essere curato
adeguatamente; e ciò emerge dalla lettura dell'ordinanza pronunciata dal
Tribunale di Sorveglianza, nella quale, appunto, si è dato atto della
correttezza del comportamento processuale dello Zagaria, il quale richiedeva
solo che gli venissero riconosciuti i trattamenti sanitari che gli erano stati
prescritti. In conclusione, Il Tribunale ha “solo” garantito il diritto
costituzionale alla saluta spettante ad ogni cittadino, sia esso detenuto o
libero; sia esso incensurato o gravato da precedenti penali, anche per reati di
allarme sociale.”
Il caso Zagaria è stato
strumentalizzato mediaticamente e politicamente: è ancora un boss pericoloso,
dicono ad esempio nel salotto televisivo di Massimo Giletti.
Imperato: Come
avrà avuto modo di leggere nella ordinanza del Tribunale di Sorveglianza, il
Giudice estensore, unitamente al Presidente e agli esperti che compongono il
collegio giudicante, ha compiutamente analizzato, come prevede la legge, la
pericolosità di Zagaria, ritenendo, sulla base di un Decreto della Corte di
Appello di Napoli del 2015 che aveva revocato, con efficacia ex tunc, la misura
di prevenzione personale per mancanza di attualità dei collegamenti dello Zagaria
alla criminalità organizzata, e l’analisi delle singole vicende giudiziarie,
scemata la sua pericolosità. Va certamente evidenziato, perché sul punto si è
fatta molta confusione che Zagaria Pasquale non è mai stato neppure indagato,
né, quindi, mai processato e condannato per omicidio. Il nostro assistito è stato
condannato per partecipazione qualificata alla associazione per delinquere
convenzionalmente denominata “Clan dei Casalesi” – fazione facente capo al
fratello Michele Zagaria - ed estorsione
e altri reati collegati, nella qualità di soggetto preposto per conto del
sodalizio alle attività imprenditoriali appannaggio dell’organizzazione
criminale.
Vaira: Pasquale Zagaria è una persona che acquisterà
la piena libertà nel 2022, non stiamo parlando di un ergastolano che non uscirà
mai dal carcere, ma di un detenuto con un residuo di pena molto breve, che ha
sempre tenuto una buona condotta, che ha attivamente partecipato a tutti
protocolli di rieducazione e risocializzazione, iscrivendosi anche, prima ad un
corso scolastico conseguendo il diploma di geometra, e, poi, ad un corso di
laurea in scienze giuridiche, sostenendo pure diversi esami e che dunque
otterrà benefici che abbrevieranno ulteriormente la pena, pena residua che
però, se proseguita in condizioni carcerarie, può mettere a rischio la sua
vita.
Quindi da domiciliari non riprenderà i
contatti con il clan?
Vaira: Che
Zagaria possa approfittare della libertà è impensabile; nel 2007 non è stato
arrestato ma si è spontaneamente costituito, ben sapendo, allora, che aveva
davanti a se un lungo percorso carcerario, figuriamoci se ora, che ormai la
pena volge al termine, abbia intenzione di sottrarsi alla giustizia.
Imperato: Sul
punto va chiarito che nel lontano 2007, pur sapendo di dover espiare un lungo
periodo di detenzione, decise di costituirsi nella mani dell’allora Sostituto
Procuratore della Repubblica Dott. Raffaele Cantone, inviando una lettera con
la quale metteva in evidenza che la decisione di costituirsi era connessa al
suo desiderio di chiudere con il passato, pagare il suo debito con la
giustizia, e avere, quindi, una ulteriore occasione di vita con la moglie e le
sue figlie; volontà, questa, ribadita pure nel corso dell’interrogatorio che
all’epoca sostenne con il dott. Cantone all’indomani della sua costituzione, ed
apprezzata da molti Giudici di cognizione che hanno tenuto conto
dell’atteggiamento processuale dello Zagaria. Pertanto, Zagaria ha solo
interesse a curasi avendo ormai quasi terminato di espiare la sua lunga
detenzione.
È vero che durante la detenzione in
varie carceri italiane ha subìto “un trattamento inumano e degradante”,
mancando il riscaldamento in cella, e per questo motivo gli è stata ridotta la
pena di 210 giorni?
Imperato: Sì, ma riguardano carcerazioni in
istituti diversi e non solo per il riscaldamento, ma per tutta una serie di
carenze strutturali delle varie Case di Reclusione, corrispondenti ai parametri
dettati dalla sentenza c.d. “Torreggiani”.
Quali sono le sue condizioni adesso?
Come si sta curando?
Vaira: È molto provato, sia dalla
malattia in sé sia dagli effetti collaterali mai fronteggiati efficacemente.
In carcere non solo non è stato
possibile effettuare l'intervento, previsto per il 27 marzo, ma non è stato
neppure possibile sottoporlo ad una ecografia di controllo, perché in questo
periodo emergenziale non è consentito al personale medico esterno l'accesso in
istituto. Dalle sue dimissioni dall'Istituto di pena ha già effettuato visite
specialistiche ed è già stato programmato il ricovero per l'intervento.
Cosa pensate di chi dice che queste
persone devono marcire in carcere o che non possono curarsi a casa?
Vaira:
Il diritto alla salute va garantito a tutte le persone, la nostra carta
costituzionale non prevede limitazioni per i detenuti, fossero anche in regime
di 41bis. La pena può comprimere la libertà delle persone, ma non sino a
prendersi la salute e la vita. Il
diritto alla salute del detenuto non può soccombere davanti all'interesse
pubblico della sicurezza sociale, a maggior ragione nel momento in cui
l'amministrazione penitenziaria abbia dimostrato di non essere in grado di
tutelare la salute di un detenuto. Lo Stato e l'amministrazione penitenziaria
hanno il dovere di garantire assistenza sanitaria adeguata. La magistratura di sorveglianza ha il dovere
di vigilare e nel caso di specie ha solo applicato la legge e in particolare
strumenti che già sono contemplati
dall'ordinamento penitenziario e dal codice penale.
Imperato:
Implicitamente già abbiamo risposto a questa domanda. Una cosa è la certezza
della pena, parametro cui si ispirano queste considerazioni; altro è il
rispetto della dignità umana, il cui riferimento primario non può che essere
rappresentato proprio dalla tutela del diritto alla salute di tutti i
cittadini, e, quindi, anche dei detenuti. Sul punto, è illuminante un passaggio della
sentenza “Torreggiani”, nel quale,
riprendendo i principi (e la strong
presumption) espressi nel caso Sulejmanovic, si è evidenziato che “la carcerazione non fa perdere al detenuto
il beneficio dei diritti sanciti dalla Convenzione. Al contrario, in alcuni
casi, la persona incarcerata può avere bisogno di una maggiore tutela proprio
per la vulnerabilità della sua situazione e per il fatto di trovarsi totalmente
sotto la responsabilità dello Stato. In questo contesto, l’articolo 3 pone a carico
delle autorità un obbligo positivo che consiste nell’assicurare che ogni
prigioniero sia detenuto in condizioni compatibili con il rispetto della
dignità umana, che le modalità di esecuzione della misura non sottopongano
l’interessato ad uno stato di sconforto né ad una prova d’intensità che ecceda
l’inevitabile livello di sofferenza inerente alla detenzione e che, tenuto
conto delle esigenze pratiche della reclusione, la salute e il benessere del
detenuto siano assicurati adeguatamente”. Tale principio costituisce
l’essenza stessa di una visione laica della concreta applicazione dei diritti
fondamentali della persona, scevra da condizionamenti politici, etici e
sociali. Lo Stato ha il dovere di garantire i diritti fondamentali della
persona anche nei confronti dei detenuti, pure per gravi reati, costituendo il
concreto adempimento di questo dovere la cifra della civiltà giuridica e
sociale di una Nazione. Gli istituti della sospensione obbligatoria o
facoltativa della pena costituiscono, quindi, dei capisaldi del nostro codice
penale e forniscono strumenti preziosi e insostituibili alla Magistratura di
Sorveglianza per dare concreta attuazione ai principi costituzionali e
convenzionali posti a tutela della salute, e, più in generale, della dignità
dell’uomo. Insomma, non v’è dubbio che
il diritto alla salute vada garantito a tutte le persone, non esistendo
limitazioni, che peraltro sarebbero evidentemente incostituzionali, connesse al
tiolo di reato, ovvero al regime detentivo. Di conseguenza, se in un periodo
emergenziale, come quello che stiamo vivendo, si verificano situazioni che non
rendono possibile da parte dello Stato garantire all’interno delle strutture
penitenziarie la tutela della salute di detenuti gravemente malati, il
cittadino/detenuto deve essere messo nelle condizioni di potervi provvedere
direttamente. Il provvedimento del Tribunale di Sorveglianza di Sassari è,
quindi, a nostro avviso, una decisione che dovrà costituire un punto di
riferimento nella gestione di criticità come quelle che si sono verificate nel
caso di specie, non potendosi assolutamente immaginare che, come sostenuto
dalla Suprema Corte di Cassazione l’impossibilità di “assicurare la prestazione di adeguate cure mediche in ambito
carcerario” si riverberi sulla salute dei detenuti “in spregio del diritto alla salute e del senso di umanità al quale deve
essere improntato il trattamento penitenziario”. D’altro canto, nel nostro
caso la Magistratura di Sorveglianza ha applicato un provvedimento temporaneo,
funzionale, solo ed esclusivamente, a garantire che Zagaria potesse effettuare
quegli accertamenti e quelle cure che sono state definite indifferibili dalla
stessa Direzione Sanitaria della Casa di Reclusione, e, quindi, un
provvedimento in cui i diversi interessi costituzionali coinvolti sono stati
adeguatamente bilanciati, come richiesto anche dalla Corte Costituzionale. In
conclusione, è ovvio che la pena deve essere certa ed espiata nelle forme
previste dalla legge; così come, però, è altrettanto ovvio che spinte securitarie
non possono condurre al detrimento delle garanzie costituzionali su cui si
fondano le basi della nostra cultura giuridica.
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