«Le nostre decisioni prese sempre nel rispetto dei diritti fondamentali»
di Valentina Stella Il Dubbio 12 maggio 2020
Il dottor Fabio Gianfilippi, magistrato di sorveglianza di
Spoleto e componente del Tribunale di sorveglianza di Perugia, è colui che ha
portato all'attenzione della Consulta, sollevando dubbi di legittimità
costituzionale, l'ergastolo ostativo e il divieto per i detenuti al carcere
duro di ricevere libri e anche quello di cuocere cibi. Un magistrato, dunque,
attento all'esecuzione della pena nel rispetto dei parametri costituzionali.
Domenica è stato
pubblicato in Gazzetta Ufficiale il decreto legge che dispone la totale
revisione delle scarcerazioni. Qual il suo parere in merito? Sentite lesa la
vostra autonomia?
Mi sembra che sia preservata la valutazione autonoma da
parte della magistratura di sorveglianza. Viene introdotto però un sistema
molto complesso di rivalutazione ravvicinata delle decisioni già assunte,
quando riferibili a condannati per reati di criminalità organizzata. Occorre
ricordare che i provvedimenti di
differimento della pena nelle forme della detenzione domiciliare, al di là
dell’impugnazione, sempre possibile, ove concessi in via d’urgenza dal
magistrato di sorveglianza, prevedono già anche entro poche settimane una
rivalutazione dinanzi al Tribunale, ed ove invece assunti dal Tribunale sono
comunque sempre a tempo, per cui si ha modo di rivalutare sia le condizioni di
salute che il comportamento della persona durante la sottoposizione alla misura
domiciliare. L’applicazione retroattiva di questi termini molto più stretti e
per una sola categoria di condannati non appare esente da criticità, sia
organizzative per gli uffici, sia di rapporto con le decisioni già assunte ed i
termini di durata, salvo proroga, in esse stabiliti. Bisognerà inoltre
sciogliere caso per caso la formula relativa alla persistenza dei motivi connessi
all’emergenza sanitaria che, come ben sappiamo, non sembra purtroppo superata.
Con il dl 30 aprile
2020 come cambierà il lavoro della magistratura di sorveglianza? Sarete
vincolati ai pareri delle Procure e della DDA?
In relazione alle richieste di permesso per gravi motivi
(imminente pericolo di vita di un familiare o
eventi familiari di particolare gravità) e di differimento della pena
nelle forme della detenzione domiciliare per motivi di salute che provengano da
condannati per gravi fattispecie associative di reato, sarà obbligatorio
richiedere un parere sull’attualità dei loro collegamenti con i gruppi
criminali di riferimento e sulla pericolosità, alle DDA e, nel caso di detenuti
al 41 bis, anche alla DNA. Per come è costruita la disposizione, si tratta di
note informative in cui si richiede alle Procure coinvolte un contributo
conoscitivo che andrà certamente ad arricchire il compendio istruttorio del
giudice, il quale però deciderà, come sempre, effettuando un autonomo ponderato
bilanciamento tra diritti fondamentali ed esigenze di sicurezza. Fino ad oggi
si sono comunque decisi questi procedimenti, che pure sono di particolare
urgenza, con non minore scrupolo chiedendo queste notizie alle forze
dell’ordine che operano nei territori.
Secondo lei le
scarcerazioni diminuiranno ora che sono previsti tanti controlli?
È
verosimile che le posizioni di detenuti con condizioni di salute
particolarmente compromesse siano venute subito all’attenzione dell’autorità
giudiziaria e che quindi si sia già provveduto, ove necessario. È a questo che
attribuirei una eventuale riduzione del numero di nuove misure domiciliari, da
sempre assunte avendo particolare riguardo ai profili di pericolosità dei
condannati.
Qual è secondo Lei la
ratio politica sottesa a tali
decisioni? La risposta ad una emergenza sanitaria o la reazione a polemiche
legate alla concessione di detenzioni domiciliari?
Le disposizioni introdotte sembrano da collegarsi alle
reazioni, piuttosto scomposte, che hanno accompagnato alcuni provvedimenti di
concessione di misure domiciliari connesse a gravissime esigenze di salute non
adeguatamente fronteggiabili in contesto penitenziario. Non mi pare che possano
invece ascriversi al novero degli interventi urgenti assunti, in molti campi,
per fronteggiare l’emergenza. Gli uffici di sorveglianza, già tremendamente
gravati in questa fase, dovranno svolgere ulteriori e gravosi adempimenti
istruttori. E le Procure saranno decisamente oberate.
Cerchiamo di fare
chiarezza: cosa è davvero accaduto in tema di 'scarcerazioni'? Cosa si è
trovata a dover affrontare la magistratura di sorveglianza durante questa
emergenza epidemiologica?
La magistratura di sorveglianza, in prima linea anche quella
dei luoghi più colpiti, ha continuato a fare il suo dovere, e cioè verificare
che la pena non sia mai contraria al senso di umanità e non perda la sua
finalità fondamentale, che è il reinserimento sociale. Ciò significa
innanzitutto vigilare affinché i diritti fondamentali, tra i quali la salute,
siano rispettati, e lo siano anche per i detenuti più pericolosi. La tutela
della salute in carcere è da molto tempo un problema e si fa fatica anche
normalmente ad assicurarla come dovrebbe. Con l’emergenza tutto è
inevitabilmente peggiorato. Anche là dove per fortuna il virus non ha fatto
ingresso, si sono drasticamente ridotti gli accessi degli specialisti e le
possibilità di vedersi seguiti in luoghi esterni di cura.
Molti sostengono che
porre determinati detenuti, come quelli al 41bis e in alta sicurezza, in
detenzione domiciliare significhi inserirli nuovamente in contatto con le
cosche. C'è questo rischio?
I magistrati di sorveglianza sono impegnati da sempre nella
gestione di detenuti di particolare pericolosità e conoscono bene i rischi
della re-immissione nei contesti di origine delle persone che hanno commesso
gravi reati di criminalità organizzata. La detenzione domiciliare per motivi di
salute avviene, quando ogni altra strada non è più percorribile, senza che per
difetto di cure sia travolta la dignità della persona, che la Costituzione
tutela anche se si tratti di chi si è macchiato del più orribile dei delitti.
Una
strumentalizzazione politica e mediatica ha completamente stravolto il
dibattito veicolando un messaggio sbagliato anche in merito al lavoro della
magistratura di sorveglianza. Secondo Lei cosa non ha funzionato e come
migliorare per il futuro?
I temi legati al carcere sono complessi e mal si attagliano
ad un dibattito frettoloso. Io credo che ci si debba concentrare sul lavoro,
necessario, per migliorare i presidi sanitari all’interno degli istituti
penitenziari. Se si riescono ad assicurare cure più adeguate in quel contesto,
di certo si ridurrà la necessità del ricorso alla detenzione domiciliare per
motivi di salute. Occorre ripartire dalla consapevolezza che tutelare i diritti
delle persone detenute contribuisce alla sicurezza della collettività e non è
un cedimento alla criminalità. In questo ambito il problema del
sovraffollamento non può che rendere tutto più difficile.
Quali sono i principi
che guidano il vostro lavoro? E vi sentite mai sottoposti a qualche tipo di
pressione?
La magistratura di sorveglianza è sottoposta a pressioni, né
più né meno di ogni altra branca della giurisdizione. Sa come guardarsene,
tenendo a mente, come ha ben ricordato il Coordinamento nazionale dei
magistrati di sorveglianza in un recente comunicato, la sua soggezione alla
Costituzione e alle leggi. L’esecuzione delle pene non può calpestare i diritti
fondamentali delle persone detenute, altrimenti non sarà mai in grado di restituirle
alla società migliori, o almeno non peggiori, di quando commisero i reati.
Questo obbiettivo non è vuoto sentimentalismo, ma consapevolezza che soltanto
insegnare, con comportamenti concreti, che ogni persona è un valore in sé, a
chi ha dimostrato di non curarsene, commettendo un reato, potrà contribuire a
renderlo domani non più pericoloso per la collettività, e magari a farne una
risorsa per tutti.
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