Via al congresso dei radicali «La Radio? La lotta continua»

di Valentina Stella Il Dubbio 6 luglio 2019

Si sono aperti ieri presso l’Auditorium Antonianum di Roma i lavori del 41esimo congresso del Partito Radicale. Subito la relazione introduttiva di Maurizio Turco, rappresentante legale del Partito: «sono stati tre anni difficili per noi e per le nostre iniziative politiche, portate avanti nella piena censura da parte della stampa. Questo congresso smentisce chi pensava che volessimo chiudere il Partito». Poi la polemica con Emma Bonino: «non ha funzionato l’appello al voto il giorno del funerale di Pannella così come le elezioni europee. Il brand di Bonino, prima con Radicali italiani e con Tabacci poi, è fallito». E dopo una lunga relazione sul tema della fame nel mondo, questione affrontata da Marco Pannella già nel 1979 e sempre attuale, ha concluso dicendo che la «lotta per Radio Radicale non è sospesa e continuerà finché non sarà indetta una gara». Ha annunciato di non ricandidarsi alla Tesoreria. Giulio Terzi di Sant’Agata, Presidente del Global Committee for the Rule of Law “Marco Pannella”, si è concentrato sull’avanzamento del dragone cinese nelle nostre economie. «Noi per i cinesi siamo il ventre molle per entrare in Europa, dopo aver divorato già il porto del Pireo in Grecia e la rete elettrica in Portogallo». Sono intervenuti anche gli imprenditori siciliani Massimo Niceta e Pietro Cavallotti, vittime perseguitate dell’attuale normativa sulle misure di prevenzione e del sistema Saguto. Lo Stato li ha indagati, processati, privati delle case e delle aziende, che sono state fatte fallire, per poi scoprire, dopo un calvario durato decenni, che non erano mafiosi ma imprenditori onesti, sui cui però è rimasto uno stigma negativo da parte del sistema lavoro. Non mollano e con il Partito Radicale portano avanti la battaglia per una proposta di legge di iniziativa popolare per cui se «lo Stato – spiega Cavallotti – ha il dubbio che la mafia si sia infiltrata in una azienda non sequestra i beni, ma affianca un amministratore giudiziario all’imprenditore, per scongiurare così il fallimento dell’impresa ed evitare, come è avvenuto nel nostro caso, che in anni di persecuzione ci si svuoti il patrimonio».

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