Ad Ariano Irpino i detenuti fanno i modelli per Brett Lloyd
Istruzione, arte e lavoro: questa la formula che applicano
nel carcere di Ariano Irpino per dare un futuro ai detenuti. Aperto nel 1980 in
seguito al terremoto che colpì l'Irpinia, il carcere della provincia di
Avellino da maggio del 2014 ha un nuovo padiglione detentivo a sorveglianza
dinamica, che richiama il concetto di 'carcere aperto', per cui le celle
divengono solo luogo di pernotto, mentre la vita del detenuto si svolge al di
fuori di esse. " La sorveglianza dinamica è dare la speranza
di un reinserimento" racconta al Dubbio
il Direttore del carcere, Gianfranco Marcello. Ardita e Davigo, nel recente libro Giustizialisti,
criticano però proprio la sorveglianza dinamica perché estesa anche ai detenuti
ad alto rischio. Invece Lei che bilancio può fare di questa misura? "Tengo a precisare che l'Istituto di Ariano
non è a custodia attenuata ma ospita i detenuti
più problematici della Campania:
da noi arrivano reclusi diciamo difficili da Poggioreale e Caserta,
perché la struttura del carcere è quella di massima sicurezza. Tornando alla
sua domanda, ho un po' di difficoltà a chiamarla effettivamente sorveglianza
dinamica, perché, per quello che dovrebbe essere, ci vorrebbero più risorse per
applicare realmente tutte le direttive del Dipartimento. Purtroppo abbiamo solo
2 educatori per 340 detenuti. Tuttavia le posso dire che il bilancio è positivo,
a patto di utilizzare bene gli strumenti che si hanno a disposizione. Tutte le
sezioni dell'Istituto - eccetto una - sono a sorveglianza dinamica o meglio a
regime aperto. I detenuti sono all'aperto nelle sezioni e noi cerchiamo di
impiegarli in tutte le attività che possiamo; lo scopo è quello di non farli
stare in ozio. Accanto a questi obiettivi usiamo anche fermezza nei confronti
di chi sbaglia; coloro che sbagliano, infatti, non danneggiano solo la società
ma anche i compagni, se queste iniziative andassero male, dall'esterno la prima
reazione sarebbe quella di dire 'buttate la chiave'. Il nostro rigore serve a preservare il
percorso trattamentale degli altri. Dall'altro lato abbiamo un numero
elevatissimo di detenuti a cui sono concessi i permessi: 50 di loro, 1 su 6
circa, vanno in permesso, più di 10 lavorano
all'esterno, sia per attività dell'Istituto sia per le cooperative". Dunque pugno di ferro con chi sbaglia e nuove possibilità per chi vuole
cambiare? "Diamo rigore e
speranza, il vero motore che può innescare il cambiamento. Si tratta di un
discorso quasi di banale psicologia. Noi ci siamo dovuti confrontare con questo
proprio per la tipologia di detenuti che arrivavano qui, e che in altri
istituti si sono resi a volte autori di aggressioni. Se qui li avessimo
trattati come bestie in gabbia avremmo ottenuto solo la ripetizione dei
comportamenti precedenti. Quindi, quando arrivano qui, la prima cosa che dico
loro è 'qui si può ripartire da zero'. Non è determinante cosa abbiano fatto
negli altri istituti: dando subito loro la speranza di poter ricominciare,
abbiamo visto che quelli veramente aggressivi altrove qui da noi, dopo uno due
tre anni, riescono ad ottenere il permesso. Noi non abbiamo mai avuto una
revoca di un permesso. Ne abbiamo mandati fuori a centinaia negli ultimi cinque
anni, non abbiamo mai avuto un problema". Tra le varie attività, pochi giorni fa nell'Istituto da Lei diretto è
andata in scena una sfilata di moda dei detenuti. Marchi nazionali ed
internazionali hanno messo a disposizione i loro abiti e il celebre fotografo
Brett Lloyd, già noto in Campania per aver realizzato negli anni scorsi un
libro dal nome Scugnizzi, li ha
immortalati col suo obiettivo. Ad organizzare l’iniziativa è stata la rivista
di moda Odda magazine con la director Alba Melendo García. Perché questa scelta
così particolare? "Si inquadra
in un percorso che l'Istituto ha intrapreso anni fa per incrementare tutte le
attività artistiche. Siamo partiti dal territorio: Ariano ha una tradizione
artistica delle ceramiche e 5 anni fa, per la prima volta, abbiamo iniziato il
quinquennio del liceo artistico e quest'anno avremo i primi diplomati. All'interno
di questo contesto si sono sviluppate tutta una serie di iniziative che hanno
come sfondo l'arte, sia in chiave ricreativa sia in chiave lavorativa: arte
intesa come lavoro della ceramica, del vetro, come fotografia e come arte
culinaria. Abbiamo fatto corsi per pizzaioli, in modo da offrire una
opportunità ai detenuti una volta usciti dal carcere. Questo è il terzo anno
che facciamo un corso di fotografia con una cooperativa di Ariano con cui
abbiamo vinto anche due premi nazionali. Quest'ultimo evento è stato davvero speciale
perché i detenuti si son calati bene nella parte del modello con una serietà e
con una professionalità che mai avrei immaginato. Al termine hanno letto una
lettera commovente ai fotografi e alla Alba Melendo. I fotografi mi hanno
riferito che un paio di loro, una volta fuori, potrebbero intraprendere la
carriera di modelli. Insomma, con un mix di fermezza e di speranza riusciamo
quasi tutti a riportarli alla produttività, alla costruttività".
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