Tribunale di Sorveglianza, Roma finalmente avrà un capo
di Valentina Stella Il Dubbio 22 aprile 2017
Il nuovo magistrato a capo
dell'Ufficio di Sorveglianza del Tribunale di Roma sarà quasi sicuramente la
dottoressa Maria Antonia Vertaldi, attualmente alla direzione del Tribunale di
Sorveglianza di Salerno. La V Commissione del Consiglio Superiore della
Magistratura, incaricata per il conferimento degli incarichi direttivi e semi
direttivi, l'ha scelta, infatti, con un voto unanime nella seduta dello scorso
20 aprile. Per la nomina ufficiale si attende solo il Plenum del CSM che si
terrà il prossimo 3 maggio. Intanto esprime "soddisfazione per la nomina" la Camera Penale di Roma attraverso il suo
vice presidente, l'avvocato Vincenzo Comi: "nell'attesa dell'ufficialità dell'incarico auguriamo un buon lavoro al
nuovo Presidente del Tribunale di Sorveglianza di Roma". Dall'ultima
presidenza del dottor Bellet, la sede
era rimasta vacante da oltre un anno, creando, come denunciano molti avvocati,
limitazioni all'esercizio della difesa e ai diritti del condannato. "Eravamo in attesa di questa notizia da
troppo tempo - prosegue Comi - Confidiamo
comunque che il Presidente effettivo possa affrontare nel miglior modo
possibile tutte le questioni che sono attualmente molto problematiche, dalle
criticità organizzative - come la difficoltà ad accedere alle cancellerie dei
singoli magistrati, o a interloquire con
loro - alla visione carcerocentrica
dell'esecuzione della pena, considerate anche le statistiche delle misure
alternative particolarmente basse. Bisogna capire che le misure alternative non
sono un beneficio ma una modalità esecutiva della pena, diversa dal carcere".
Proprio come evidenziato dal presidente della Camera Penale di Roma,
l'avvocato Cesare Placanica, in uno sciopero indetto lo scorso dicembre per denunciare
le "gravi disfunzioni degli uffici
di sorveglianza, dopo due anni di inutili tentativi di interlocuzione con i
magistrati", nella Capitale il dato statistico dell'ammissione alle
misure alternative raggiunge solo il 10%, a fronte di una media nazionale del
25%; inoltre, contro i provvedimenti della magistratura di sorveglianza romana,
nel solo 2016, si sono contati 392 ricorsi in Cassazione. A questi numeri, lo
ricordiamo, si è aggiunto pochi giorni fa il monito del Comitato per la
prevenzione della tortura del Consiglio di Europa che ha invitato i 47 gli
Stati membri a ricorrere alla custodia cautelare solo in casi eccezionali
quando non è possibile utilizzare appunto misure alternative. Il Tribunale di
Sorveglianza di Roma però soffre anche di altri mali: primo tra tutti, come più
volte sottolineato dal Garante dei Detenuti del Lazio Stefano Anastasia, un rapporto quasi inesistente e difficile tra
i detenuti e i magistrati di sorveglianza di cui lamentano l'assenza di visite
e ispezioni, nonostante la legge ponga al giudice di sorveglianza l’obbligo di
andare frequentemente in carcere e sentire tutti i detenuti che chiedono di
parlargli. A ciò si aggiungono i rigetti, a detta dei reclusi 'immotivati', dei
permessi per uscire dal carcere in particolari occasioni. Come si legge in
alcune lettere di ristretti del carcere romano di Rebibbia, inviate al Dubbio, ad alcuni di loro è stato negato
di presenziare al matrimonio della figlia, alle esequie del padre ma anche alla
nascita del proprio figlio sulla base di una "laconica motivazione dai
toni tenebrosi - ci scrive Giuseppe P. - : «la nascita di un figlio, pur trattandosi di evento importante,
non desta preoccupazione»".
Commenti
Posta un commento