Cyberspionaggio, chiesti 9 anni per Giulio Occhionero e 7 per la sorella
di Valentina Stella Il Dubbio 11 aprile 2018
Ieri la Procura di Roma ha chiesto di condannare rispettivamente a 9 e 7 anni di reclusione Giulio Occhionero e sua sorella Francesca, accusati di una presunta attività di cyberspionaggio su vasta scala. Il pm Eugenio Albamonte, ricostruendo a suo dire un quadro “non indiziario ma fortemente probatorio”, ritiene entrambi responsabili dell’accesso abusivo - consumato o solo tentato - a sistemi informatici ( caselle di posta elettronica protette da password di accesso, sia personali che istituzionali, appartenenti a professionisti del settore giuridico- economico, a esponenti della politica e ad altri riconducibili ad Enti pubblici) e dell’intercettazione illecita di comunicazioni informatiche. Secondo il pm i due avrebbero creato e gestito una botnet – ossia una rete di pc infettati da un malware – per portare avanti una attività di cyberspionaggio massivo, infettando, attraverso una email, circa 18mila pc, impossessandosi di 1935 password ed esfiltrando e rubando dati all’insaputa dei legittimi proprietari. “È la prima volta - ha sottolineato Albamonte nella sua requisitoria durata circa 2 ore – che, nonostante una rete di spionaggio così complessa, siamo riusciti ad individuarne l’autore”.
L’udienza si era aperta con una nuova richiesta da parte degli avvocati difensori, Roberto Bottacchiari e Stefano Parretta, di astensione dal procedimento del pm Albamonte, legata a quello avviato dalla Procura di Perugia, dopo una denuncia presentata dallo stesso Occhionero, dal quale “sono emersi ulteriori fatti e circostanze – dicono i legali - che ci inducono a ritenere sussistenti gravi ragioni di convenienza perché il pm eserciti la facoltà di astenersi'. I magistrati
perugini De Ficchy e Miliani adesso infatti indagano Albamonte anche per omissione d’atti d’ufficio, oltre che per falso e abuso di ufficio come reso noto nell’udienza del 21 settembre 2017. “L’estensione di indagine nei confronti del pm non è un semplice atto dovuto – hanno evidenziato al giudice Bencivinni i due avvocati – è frutto bensì di un attività di indagine lunga quasi un anno”. Albamonte ha replicato di aver avanzato al superiore, il dottor Pignatone che è anche co- intestatario dell’inchiesta, la sua disponibilità ad essere sostituito ma la richiesta è stata respinta, questa volta senza addurre motivazioni. Da Perugia si allarga anche la lista degli indagati: insieme al pm e due agenti della polizia postale, si aggiungono l’agente Cappotto per abuso d’ufficio, falso e accesso abusivo e Federico Ramondino, responsabile della Mentat – società che per conto prima di Enav e poi della Pg aveva analizzato il famoso malware -, indagato per accesso abusivo aggravato e continuato. Al termine dell’udienza abbiamo chiesto un commento e Giulio Occhionero ci ha risposto “di avere fiducia nell’operato dei magistrati di Perugia, con la speranza che quello che sta succedendo a me e mia sorella, ossia la fabbricazione di prove contro di noi, non avvenga un’altra volta”. Tra qualche giorno ci sarà l’arringa della difesa e subito dopo la sentenza, a meno che il pm non chieda una controreplica.
Ieri la Procura di Roma ha chiesto di condannare rispettivamente a 9 e 7 anni di reclusione Giulio Occhionero e sua sorella Francesca, accusati di una presunta attività di cyberspionaggio su vasta scala. Il pm Eugenio Albamonte, ricostruendo a suo dire un quadro “non indiziario ma fortemente probatorio”, ritiene entrambi responsabili dell’accesso abusivo - consumato o solo tentato - a sistemi informatici ( caselle di posta elettronica protette da password di accesso, sia personali che istituzionali, appartenenti a professionisti del settore giuridico- economico, a esponenti della politica e ad altri riconducibili ad Enti pubblici) e dell’intercettazione illecita di comunicazioni informatiche. Secondo il pm i due avrebbero creato e gestito una botnet – ossia una rete di pc infettati da un malware – per portare avanti una attività di cyberspionaggio massivo, infettando, attraverso una email, circa 18mila pc, impossessandosi di 1935 password ed esfiltrando e rubando dati all’insaputa dei legittimi proprietari. “È la prima volta - ha sottolineato Albamonte nella sua requisitoria durata circa 2 ore – che, nonostante una rete di spionaggio così complessa, siamo riusciti ad individuarne l’autore”.
L’udienza si era aperta con una nuova richiesta da parte degli avvocati difensori, Roberto Bottacchiari e Stefano Parretta, di astensione dal procedimento del pm Albamonte, legata a quello avviato dalla Procura di Perugia, dopo una denuncia presentata dallo stesso Occhionero, dal quale “sono emersi ulteriori fatti e circostanze – dicono i legali - che ci inducono a ritenere sussistenti gravi ragioni di convenienza perché il pm eserciti la facoltà di astenersi'. I magistrati
perugini De Ficchy e Miliani adesso infatti indagano Albamonte anche per omissione d’atti d’ufficio, oltre che per falso e abuso di ufficio come reso noto nell’udienza del 21 settembre 2017. “L’estensione di indagine nei confronti del pm non è un semplice atto dovuto – hanno evidenziato al giudice Bencivinni i due avvocati – è frutto bensì di un attività di indagine lunga quasi un anno”. Albamonte ha replicato di aver avanzato al superiore, il dottor Pignatone che è anche co- intestatario dell’inchiesta, la sua disponibilità ad essere sostituito ma la richiesta è stata respinta, questa volta senza addurre motivazioni. Da Perugia si allarga anche la lista degli indagati: insieme al pm e due agenti della polizia postale, si aggiungono l’agente Cappotto per abuso d’ufficio, falso e accesso abusivo e Federico Ramondino, responsabile della Mentat – società che per conto prima di Enav e poi della Pg aveva analizzato il famoso malware -, indagato per accesso abusivo aggravato e continuato. Al termine dell’udienza abbiamo chiesto un commento e Giulio Occhionero ci ha risposto “di avere fiducia nell’operato dei magistrati di Perugia, con la speranza che quello che sta succedendo a me e mia sorella, ossia la fabbricazione di prove contro di noi, non avvenga un’altra volta”. Tra qualche giorno ci sarà l’arringa della difesa e subito dopo la sentenza, a meno che il pm non chieda una controreplica.
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