«Hanno firmato la condanna a morte per mio marito»

di Valentina Stella Il Dubbio 7 febbraio 2018

“Si tratta di una decisione vergognosa”: così Miranda Ratti ha commentato colDubbio la decisione del Tribunale di Roma che ieri ha rigettato l’istanza di scarcerazione di suo marito Marcello Dell’Utri.
Signora Dell’Utri si aspettava questa decisione?
Sono allibita, hanno firmato una condanna a morte per mio marito. È alla portata di tutti, anche di un cieco, l’accanimento di questa magistratura nei suoi confronti ed è ancora più assurdo pensare che Marcello possa costituire un pericolo. Esorto tutti a fare un sondaggio per chiedere chi ritenga mio marito un pericolo. Nessuno!
Come giudica il fatto che i referti medici delineino un quadro clinico compromesso ma poi il Tribunale decide che suo marito deve rimanere in carcere?
Mio marito è un cardiopatico, ha il diabete, ha avuto un glaucoma e da luglio ha un tumore maligno alla prostata. Tutto questo è stato certificato dai medici di Tor Vergata, da quelli del carcere, da quelli della Procura ma non è stato giudicato sufficiente per farlo uscire e curarlo nel migliore dei modi. Questi magistrati stanno negando a mio marito il diritto alla salute ed è gravissimo in un Paese che vuole dirsi civile. Secondo lei è normale che dal mese di luglio, quando gli hanno diagnosticato il tumore, mio marito non ha fatto nessun controllo né ricevuto un minimo di cura? Non scordiamoci che lui, in quanto detenuto, è in custodia dello Stato, ma questo stesso Stato gli sta negando un diritto costituzionale.
Ha pesato il cognome di suo marito?
Se al posto suo ci fosse stato un altro, ora starebbe fuori. Il problema è che i magistrati non vogliono prendersi la responsabilità di liberare mio marito. Anzi cercano di applicare una giustizia a dir poco creativa.
Le alternative proposte per curare suo marito sono inapplicabili?
Come pensano di poter far curare mio marito in un centro protetto, facendogli fare una radioterapia in una situazione di promiscuità e di igiene dubbia, dopo che già ha avuto la sepsi durante un trasferimento ed è rimasto in terapia intensiva per un mese? Nei centri protetti ospedalieri, come riferito anche dal Garante nazionale dei detenuti Mauro Palma, ci sono stanze/ celle chiuse 24 ore su 24: il che significa che il detenuto ricoverato non può uscire, non può usufruire dell’ora d’aria, non può dunque camminare. Come può subire questo un cardiopatico, quando tutti i medici che lo hanno visitato hanno detto che è a rischio di infarto e ictus?

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