Intervista a Silvia Albano

Angela Stella Unità 15 novembre 2025 


Silvia Albano, Presidente di Magistratura Democratica, sul Protocollo Italia Albania la Meloni ha detto due giorni fa: “In molti hanno lavorato per frenarlo o per bloccarlo, ma noi siamo determinati ad andare avanti”. Intendeva voi giudici. Come replica?

I giudici non hanno lavorato per bloccare l’accordo, hanno faticosamente cercato di fare il proprio lavoro, applicare la legge in un sistema dove il diritto UE è sovraordinato rispetto alla normativa interna. Forse se si fosse dato ascolto a tutti quei giuristi che subito avevano messo in evidenza i punti di frizione tra il protocollo e il diritto UE, si sarebbe evitato un grande spreco di denaro pubblico. Non è vero che con il nuovo Patto Europeo sull’Asilo che entrerà in vigore a giugno 2026 i centri in Albania avranno via libera, perché il nuovo regolamento prevede espressamente che le zone di frontiera (la finzione che permette che i centri in Albania siano sottoposti alla giurisdizione italiana per le procedure di asilo) debbano essere individuate nel territorio dello stato membro, e l’Albania non è territorio italiano.

Come giudica la politica migratoria dell'Italia?

Fallimentare direi, sta producendo un grande numero di stranieri irregolari sul territorio che non potranno essere rimpatriati e sono, quindi, candidati allo sfruttamento o alla criminalità. Le politiche di esclusione producono più insicurezza, non più sicurezza.

Invece per il sottosegretario Mantovano la “magistratura blocca sicurezza, espulsioni, Ilva”. Sono “invasioni di campo che devono essere ricondotte”.

La magistratura cerca di garantire i diritti, i diritti fondamentali delle persone non possono essere calpestati in nome di interessi superiori dello Stato. I diritti fondamentali sono il limite davanti al quale la politica di qualsiasi maggioranza deve arrestarsi, il compito della magistratura è quello di garantirli. Abbiamo visto cosa è accaduto nei periodi più bui della nostra storia quando non era così, quando lo Stato non era al servizio delle libertà e dei diritti dei cittadini, ma erano i cittadini a essere sudditi.

Come giudica queste prime settimane di campagna referendaria? Penso ad esempio alle interviste false di Falcone e Borsellino.

Spero che i toni della campagna possano rientrare nei termini di un confronto razionale e sereno. Temo non sarà così, perché la posta in gioco è molto alta e questa riforma è un tassello del disegno istituzionale di questo governo, che prevede, attraverso leggi ordinarie e riforme costituzionali, un sempre maggiore accentramento del potere nell’Esecutivo, svuotando la democrazia rappresentativa e parlamentare, e un ribaltamento del rapporto tra Stato e cittadino. Bisogna unire tutti i puntini: decreto sicurezza e abrogazione dell’abuso d’ufficio (il reato posto a tutela dei cittadini contro gli abusi dei potenti), autonomia differenziata, riforma della magistratura e premierato. La posta in gioco la hanno dichiarata i più alti esponenti del governo, proponenti la riforma costituzionale: bloccare l’invadenza della magistratura nei confronti della politica di governo. Non c’entra nulla la separazione delle carriere per come era stata pensata negli anni 90 all’indomani del nuovo codice, perchè quella separazione è già sostanzialmente operante.

Scrive Augusto Barbera sul Foglio: “Un Csm con compiti di 'garanzia' non dovrebbe svolgere funzioni di 'rappresentanza'", né del Parlamento né dei magistrati. Cadono pertanto le obiezioni (quelle giuridiche almeno) al “sorteggio” dei componenti dei due Csm, fondate invece qualora dovesse trattarsi di eleggere “rappresentanti”. Condivide?
L’elezione dei componenti togati al CSM aveva la funzione di garantire che al CSM potessero essere designati i “migliori”, coloro che meglio erano in grado di svolgere la delicatissima funzione che la Costituzione assegna a questo organo costituzionale e di garantire il pluralismo delle idee presenti nella magistratura su come questa funzione debba essere svolta. Ad esempio quale modello di magistrato si promuove attraverso le valutazioni di professionalità, o quale risposta di giustizia si intende dare attraverso l’organizzazione dei tribunali in un modo o in un altro. L’autogoverno non è fatto di sole nomine di dirigenti, questa è una minima parte delle sue funzioni. Attraverso il sorteggio si svilisce un organo costituzionale e l’intero corpo della magistratura, considerato non in grado di eleggere i “migliori”. Il sorteggio non contrasterà, ma faciliterà eventuali “cadute etiche”, oggi i consiglieri vengono eletti sulla base delle loro idee in materia di autogoverno e hanno una responsabilità di fronte ai propri elettori, domani ci saranno consiglieri che non dovranno rispondere del loro operato.

I sostenitori del ‘No’ ripetono che la riforma condurrà alla perdita di autonomia e indipendenza della magistratura. Eppure il nuovo art. 104 ribadirà questo principio.

Non basta sancire un principio perché questo possa effettivamente vivere. L’indipendenza è una parola vuota se non è accompagnata da un sistema istituzionale e di regole in grado di garantirne l’effettività.

Secondo lei il referendum si trasformerà in un indice di gradimento contro e pro Meloni e contro e pro magistratura?
Non deve essere né l’uno né l’altro. La giustizia così com’è non va, ma questa riforma non la migliorerà di una virgola, anzi, rischia di creare un corpo di magistrati burocrati e sudditi del potere. Non garantirà affatto che ci saranno giudici migliori o che commetteranno meno errori. Non bisogna scomodare la costituzione per garantire una giustizia di qualità, amministrata da magistrati professionalmente e culturalmente attrezzati in grado di conquistare la fiducia (non il consenso attenzione) di cui l’amministrazione della giustizia ha bisogno.

"Bisogna essere chiari, noi siamo garantisti: il garantismo va coniugato in una duplice direzione, l'enfatizzazione della presunzione di innocenza ma la certezza della pena una volta irrogata dopo un giusto processo". Così ha detto il ministro della giustizia, Carlo Nordio, nel corso della sua lectio magistralis alla cerimonia dei 50 anni della legge dell'ordinamento penitenziario.


Il garantismo del Ministro sinceramente non lo vedo, forse nei confronti di alcuni, non nei confronti della generalità dei cittadini. Basta guardare alla produzione legislativa di questi tre anni: aumento delle pene, creazione di nuove fattispecie penali, una politica penale forte con i deboli e debole con i forti.  A 50 anni dalla legge Gozzini, che si caratterizzava per la individualizzazione del trattamento, la valorizzazione della prospettiva di recupero e reinserimento, che aveva posto fine alla stagione delle rivolte nelle carceri restituendo una speranza ai detenuti, che aveva consentito una riduzione radicale delle recidive, si sarebbe dovuto dare atto di un sostanziale fallimento. La parola d’ordine del legislatore è stata carcere, sempre e comunque. A qualsiasi emergenza sociale, si risponde con nuove fattispecie di reato. Le carceri straboccano, le condizioni dei detenuti sono disumane, i giudici dell’unione non eseguono i mandati di arresto europeo provenienti dall’Italia perché prima vogliono verificare le condizioni di detenzione, ieri c’è stato l’ennesimo suicidio. Queste condizioni in cui non è possibile effettuare seri trattamenti di recupero e reinserimento dei detenuti, producono recidiva, reiterazione dei reati, più insicurezza per i cittadini quindi. Ci vorrebbe una depenalizzazione seria: non a tutto si può rispondere col carcere, ci sono sanzioni amministrative che sarebbero più efficaci. Ci vorrebbero strutture in grado di garantire l’applicazione di misure alternative alle persone in situazione di marginalità sociale. Di fronte a condizioni di detenzione che si sostanziano in trattamenti inumani e degradanti si dovrebbe avere il coraggio di pensare all’amnistia e all’indulto e al numero chiuso. Se non c’è posto, in carcere non si va.

Nordio ha aggiunto: "La liberazione anticipata lineare è quasi blasfema, perché la stessa religione spiega che per avere il perdono devi fare la confessione, la penitenza e devi avere il fermo proposito di non commettere più il peccato". Come risponde?

Fortunatamente siamo in uno stato laico. La confessione e la penitenza non c’entrano nulla col reinserimento sociale del condannato. La liberazione anticipata rappresenta una speranza ed è un grande incentivo a comportarsi bene e a collaborare nel percorso trattamentale.  


Silvia Albano, Presidente di Magistratura Democratica, sul Protocollo Italia Albania la Meloni ha detto due giorni fa: “In molti hanno lavorato per frenarlo o per bloccarlo, ma noi siamo determinati ad andare avanti”. Intendeva voi giudici. Come replica?

I giudici non hanno lavorato per bloccare l’accordo, hanno faticosamente cercato di fare il proprio lavoro, applicare la legge in un sistema dove il diritto UE è sovraordinato rispetto alla normativa interna. Forse se si fosse dato ascolto a tutti quei giuristi che subito avevano messo in evidenza i punti di frizione tra il protocollo e il diritto UE, si sarebbe evitato un grande spreco di denaro pubblico. Non è vero che con il nuovo Patto Europeo sull’Asilo che entrerà in vigore a giugno 2026 i centri in Albania avranno via libera, perché il nuovo regolamento prevede espressamente che le zone di frontiera (la finzione che permette che i centri in Albania siano sottoposti alla giurisdizione italiana per le procedure di asilo) debbano essere individuate nel territorio dello stato membro, e l’Albania non è territorio italiano.

Come giudica la politica migratoria dell'Italia?

Fallimentare direi, sta producendo un grande numero di stranieri irregolari sul territorio che non potranno essere rimpatriati e sono, quindi, candidati allo sfruttamento o alla criminalità. Le politiche di esclusione producono più insicurezza, non più sicurezza.

Invece per il sottosegretario Mantovano la “magistratura blocca sicurezza, espulsioni, Ilva”. Sono “invasioni di campo che devono essere ricondotte”.

La magistratura cerca di garantire i diritti, i diritti fondamentali delle persone non possono essere calpestati in nome di interessi superiori dello Stato. I diritti fondamentali sono il limite davanti al quale la politica di qualsiasi maggioranza deve arrestarsi, il compito della magistratura è quello di garantirli. Abbiamo visto cosa è accaduto nei periodi più bui della nostra storia quando non era così, quando lo Stato non era al servizio delle libertà e dei diritti dei cittadini, ma erano i cittadini a essere sudditi.

Come giudica queste prime settimane di campagna referendaria? Penso ad esempio alle interviste false di Falcone e Borsellino.

Spero che i toni della campagna possano rientrare nei termini di un confronto razionale e sereno. Temo non sarà così, perché la posta in gioco è molto alta e questa riforma è un tassello del disegno istituzionale di questo governo, che prevede, attraverso leggi ordinarie e riforme costituzionali, un sempre maggiore accentramento del potere nell’Esecutivo, svuotando la democrazia rappresentativa e parlamentare, e un ribaltamento del rapporto tra Stato e cittadino. Bisogna unire tutti i puntini: decreto sicurezza e abrogazione dell’abuso d’ufficio (il reato posto a tutela dei cittadini contro gli abusi dei potenti), autonomia differenziata, riforma della magistratura e premierato. La posta in gioco la hanno dichiarata i più alti esponenti del governo, proponenti la riforma costituzionale: bloccare l’invadenza della magistratura nei confronti della politica di governo. Non c’entra nulla la separazione delle carriere per come era stata pensata negli anni 90 all’indomani del nuovo codice, perchè quella separazione è già sostanzialmente operante.

Scrive Augusto Barbera sul Foglio: “Un Csm con compiti di 'garanzia' non dovrebbe svolgere funzioni di 'rappresentanza'", né del Parlamento né dei magistrati. Cadono pertanto le obiezioni (quelle giuridiche almeno) al “sorteggio” dei componenti dei due Csm, fondate invece qualora dovesse trattarsi di eleggere “rappresentanti”. Condivide?
L’elezione dei componenti togati al CSM aveva la funzione di garantire che al CSM potessero essere designati i “migliori”, coloro che meglio erano in grado di svolgere la delicatissima funzione che la Costituzione assegna a questo organo costituzionale e di garantire il pluralismo delle idee presenti nella magistratura su come questa funzione debba essere svolta. Ad esempio quale modello di magistrato si promuove attraverso le valutazioni di professionalità, o quale risposta di giustizia si intende dare attraverso l’organizzazione dei tribunali in un modo o in un altro. L’autogoverno non è fatto di sole nomine di dirigenti, questa è una minima parte delle sue funzioni. Attraverso il sorteggio si svilisce un organo costituzionale e l’intero corpo della magistratura, considerato non in grado di eleggere i “migliori”. Il sorteggio non contrasterà, ma faciliterà eventuali “cadute etiche”, oggi i consiglieri vengono eletti sulla base delle loro idee in materia di autogoverno e hanno una responsabilità di fronte ai propri elettori, domani ci saranno consiglieri che non dovranno rispondere del loro operato.

I sostenitori del ‘No’ ripetono che la riforma condurrà alla perdita di autonomia e indipendenza della magistratura. Eppure il nuovo art. 104 ribadirà questo principio.

Non basta sancire un principio perché questo possa effettivamente vivere. L’indipendenza è una parola vuota se non è accompagnata da un sistema istituzionale e di regole in grado di garantirne l’effettività.

Secondo lei il referendum si trasformerà in un indice di gradimento contro e pro Meloni e contro e pro magistratura?
Non deve essere né l’uno né l’altro. La giustizia così com’è non va, ma questa riforma non la migliorerà di una virgola, anzi, rischia di creare un corpo di magistrati burocrati e sudditi del potere. Non garantirà affatto che ci saranno giudici migliori o che commetteranno meno errori. Non bisogna scomodare la costituzione per garantire una giustizia di qualità, amministrata da magistrati professionalmente e culturalmente attrezzati in grado di conquistare la fiducia (non il consenso attenzione) di cui l’amministrazione della giustizia ha bisogno.

"Bisogna essere chiari, noi siamo garantisti: il garantismo va coniugato in una duplice direzione, l'enfatizzazione della presunzione di innocenza ma la certezza della pena una volta irrogata dopo un giusto processo". Così ha detto il ministro della giustizia, Carlo Nordio, nel corso della sua lectio magistralis alla cerimonia dei 50 anni della legge dell'ordinamento penitenziario.


Il garantismo del Ministro sinceramente non lo vedo, forse nei confronti di alcuni, non nei confronti della generalità dei cittadini. Basta guardare alla produzione legislativa di questi tre anni: aumento delle pene, creazione di nuove fattispecie penali, una politica penale forte con i deboli e debole con i forti.  A 50 anni dalla legge Gozzini, che si caratterizzava per la individualizzazione del trattamento, la valorizzazione della prospettiva di recupero e reinserimento, che aveva posto fine alla stagione delle rivolte nelle carceri restituendo una speranza ai detenuti, che aveva consentito una riduzione radicale delle recidive, si sarebbe dovuto dare atto di un sostanziale fallimento. La parola d’ordine del legislatore è stata carcere, sempre e comunque. A qualsiasi emergenza sociale, si risponde con nuove fattispecie di reato. Le carceri straboccano, le condizioni dei detenuti sono disumane, i giudici dell’unione non eseguono i mandati di arresto europeo provenienti dall’Italia perché prima vogliono verificare le condizioni di detenzione, ieri c’è stato l’ennesimo suicidio. Queste condizioni in cui non è possibile effettuare seri trattamenti di recupero e reinserimento dei detenuti, producono recidiva, reiterazione dei reati, più insicurezza per i cittadini quindi. Ci vorrebbe una depenalizzazione seria: non a tutto si può rispondere col carcere, ci sono sanzioni amministrative che sarebbero più efficaci. Ci vorrebbero strutture in grado di garantire l’applicazione di misure alternative alle persone in situazione di marginalità sociale. Di fronte a condizioni di detenzione che si sostanziano in trattamenti inumani e degradanti si dovrebbe avere il coraggio di pensare all’amnistia e all’indulto e al numero chiuso. Se non c’è posto, in carcere non si va.

Nordio ha aggiunto: "La liberazione anticipata lineare è quasi blasfema, perché la stessa religione spiega che per avere il perdono devi fare la confessione, la penitenza e devi avere il fermo proposito di non commettere più il peccato". Come risponde?

Fortunatamente siamo in uno stato laico. La confessione e la penitenza non c’entrano nulla col reinserimento sociale del condannato. La liberazione anticipata rappresenta una speranza ed è un grande incentivo a comportarsi bene e a collaborare nel percorso trattamentale.  

Silvia Albano, Presidente di Magistratura Democratica, sul Protocollo Italia Albania la Meloni ha detto due giorni fa: “In molti hanno lavorato per frenarlo o per bloccarlo, ma noi siamo determinati ad andare avanti”. Intendeva voi giudici. Come replica?

I giudici non hanno lavorato per bloccare l’accordo, hanno faticosamente cercato di fare il proprio lavoro, applicare la legge in un sistema dove il diritto UE è sovraordinato rispetto alla normativa interna. Forse se si fosse dato ascolto a tutti quei giuristi che subito avevano messo in evidenza i punti di frizione tra il protocollo e il diritto UE, si sarebbe evitato un grande spreco di denaro pubblico. Non è vero che con il nuovo Patto Europeo sull’Asilo che entrerà in vigore a giugno 2026 i centri in Albania avranno via libera, perché il nuovo regolamento prevede espressamente che le zone di frontiera (la finzione che permette che i centri in Albania siano sottoposti alla giurisdizione italiana per le procedure di asilo) debbano essere individuate nel territorio dello stato membro, e l’Albania non è territorio italiano.

Come giudica la politica migratoria dell'Italia?

Fallimentare direi, sta producendo un grande numero di stranieri irregolari sul territorio che non potranno essere rimpatriati e sono, quindi, candidati allo sfruttamento o alla criminalità. Le politiche di esclusione producono più insicurezza, non più sicurezza.

Invece per il sottosegretario Mantovano la “magistratura blocca sicurezza, espulsioni, Ilva”. Sono “invasioni di campo che devono essere ricondotte”.

La magistratura cerca di garantire i diritti, i diritti fondamentali delle persone non possono essere calpestati in nome di interessi superiori dello Stato. I diritti fondamentali sono il limite davanti al quale la politica di qualsiasi maggioranza deve arrestarsi, il compito della magistratura è quello di garantirli. Abbiamo visto cosa è accaduto nei periodi più bui della nostra storia quando non era così, quando lo Stato non era al servizio delle libertà e dei diritti dei cittadini, ma erano i cittadini a essere sudditi.

Come giudica queste prime settimane di campagna referendaria? Penso ad esempio alle interviste false di Falcone e Borsellino.

Spero che i toni della campagna possano rientrare nei termini di un confronto razionale e sereno. Temo non sarà così, perché la posta in gioco è molto alta e questa riforma è un tassello del disegno istituzionale di questo governo, che prevede, attraverso leggi ordinarie e riforme costituzionali, un sempre maggiore accentramento del potere nell’Esecutivo, svuotando la democrazia rappresentativa e parlamentare, e un ribaltamento del rapporto tra Stato e cittadino. Bisogna unire tutti i puntini: decreto sicurezza e abrogazione dell’abuso d’ufficio (il reato posto a tutela dei cittadini contro gli abusi dei potenti), autonomia differenziata, riforma della magistratura e premierato. La posta in gioco la hanno dichiarata i più alti esponenti del governo, proponenti la riforma costituzionale: bloccare l’invadenza della magistratura nei confronti della politica di governo. Non c’entra nulla la separazione delle carriere per come era stata pensata negli anni 90 all’indomani del nuovo codice, perchè quella separazione è già sostanzialmente operante.

Scrive Augusto Barbera sul Foglio: “Un Csm con compiti di 'garanzia' non dovrebbe svolgere funzioni di 'rappresentanza'", né del Parlamento né dei magistrati. Cadono pertanto le obiezioni (quelle giuridiche almeno) al “sorteggio” dei componenti dei due Csm, fondate invece qualora dovesse trattarsi di eleggere “rappresentanti”. Condivide?
L’elezione dei componenti togati al CSM aveva la funzione di garantire che al CSM potessero essere designati i “migliori”, coloro che meglio erano in grado di svolgere la delicatissima funzione che la Costituzione assegna a questo organo costituzionale e di garantire il pluralismo delle idee presenti nella magistratura su come questa funzione debba essere svolta. Ad esempio quale modello di magistrato si promuove attraverso le valutazioni di professionalità, o quale risposta di giustizia si intende dare attraverso l’organizzazione dei tribunali in un modo o in un altro. L’autogoverno non è fatto di sole nomine di dirigenti, questa è una minima parte delle sue funzioni. Attraverso il sorteggio si svilisce un organo costituzionale e l’intero corpo della magistratura, considerato non in grado di eleggere i “migliori”. Il sorteggio non contrasterà, ma faciliterà eventuali “cadute etiche”, oggi i consiglieri vengono eletti sulla base delle loro idee in materia di autogoverno e hanno una responsabilità di fronte ai propri elettori, domani ci saranno consiglieri che non dovranno rispondere del loro operato.

I sostenitori del ‘No’ ripetono che la riforma condurrà alla perdita di autonomia e indipendenza della magistratura. Eppure il nuovo art. 104 ribadirà questo principio.

Non basta sancire un principio perché questo possa effettivamente vivere. L’indipendenza è una parola vuota se non è accompagnata da un sistema istituzionale e di regole in grado di garantirne l’effettività.

Secondo lei il referendum si trasformerà in un indice di gradimento contro e pro Meloni e contro e pro magistratura?
Non deve essere né l’uno né l’altro. La giustizia così com’è non va, ma questa riforma non la migliorerà di una virgola, anzi, rischia di creare un corpo di magistrati burocrati e sudditi del potere. Non garantirà affatto che ci saranno giudici migliori o che commetteranno meno errori. Non bisogna scomodare la costituzione per garantire una giustizia di qualità, amministrata da magistrati professionalmente e culturalmente attrezzati in grado di conquistare la fiducia (non il consenso attenzione) di cui l’amministrazione della giustizia ha bisogno.

"Bisogna essere chiari, noi siamo garantisti: il garantismo va coniugato in una duplice direzione, l'enfatizzazione della presunzione di innocenza ma la certezza della pena una volta irrogata dopo un giusto processo". Così ha detto il ministro della giustizia, Carlo Nordio, nel corso della sua lectio magistralis alla cerimonia dei 50 anni della legge dell'ordinamento penitenziario.


Il garantismo del Ministro sinceramente non lo vedo, forse nei confronti di alcuni, non nei confronti della generalità dei cittadini. Basta guardare alla produzione legislativa di questi tre anni: aumento delle pene, creazione di nuove fattispecie penali, una politica penale forte con i deboli e debole con i forti.  A 50 anni dalla legge Gozzini, che si caratterizzava per la individualizzazione del trattamento, la valorizzazione della prospettiva di recupero e reinserimento, che aveva posto fine alla stagione delle rivolte nelle carceri restituendo una speranza ai detenuti, che aveva consentito una riduzione radicale delle recidive, si sarebbe dovuto dare atto di un sostanziale fallimento. La parola d’ordine del legislatore è stata carcere, sempre e comunque. A qualsiasi emergenza sociale, si risponde con nuove fattispecie di reato. Le carceri straboccano, le condizioni dei detenuti sono disumane, i giudici dell’unione non eseguono i mandati di arresto europeo provenienti dall’Italia perché prima vogliono verificare le condizioni di detenzione, ieri c’è stato l’ennesimo suicidio. Queste condizioni in cui non è possibile effettuare seri trattamenti di recupero e reinserimento dei detenuti, producono recidiva, reiterazione dei reati, più insicurezza per i cittadini quindi. Ci vorrebbe una depenalizzazione seria: non a tutto si può rispondere col carcere, ci sono sanzioni amministrative che sarebbero più efficaci. Ci vorrebbero strutture in grado di garantire l’applicazione di misure alternative alle persone in situazione di marginalità sociale. Di fronte a condizioni di detenzione che si sostanziano in trattamenti inumani e degradanti si dovrebbe avere il coraggio di pensare all’amnistia e all’indulto e al numero chiuso. Se non c’è posto, in carcere non si va.

Nordio ha aggiunto: "La liberazione anticipata lineare è quasi blasfema, perché la stessa religione spiega che per avere il perdono devi fare la confessione, la penitenza e devi avere il fermo proposito di non commettere più il peccato". Come risponde?

Fortunatamente siamo in uno stato laico. La confessione e la penitenza non c’entrano nulla col reinserimento sociale del condannato. La liberazione anticipata rappresenta una speranza ed è un grande incentivo a comportarsi bene e a collaborare nel percorso trattamentale.  

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