Oltre il 75% dei detenuti convive con disturbi mentali
di Valentina Stella Il Dubbio 15 dicembre 2017
Ha fatto tappa questa settimana al carcere romano di Rebibbia il “Progetto insieme – Carcere e salute mentale”, un’iniziativa nazionale che mira a far luce sulle condizioni dei detenuti con disturbi mentali ( depressione, disturbi della personalità e disturbi psicotici) e a migliorare la loro gestione. Il progetto, patrocinato dal ministero della Salute, è promosso dalla Società Italiana di Medicina e Sanità Penitenziaria, dalla Società Italiana di Psichiatria e dalla Società Italiana di Psichiatria delle Dipendenze, e ha coinvolto diverse figure che operano dentro le car- ceri per sviluppare un nuovo Percorso Diagnostico Terapeutico Assistenziale ( Pdta) per la gestione e il trattamento dei detenuti che soffrono di malattie mentali. Dietro le sbarre la prevalenza dei disturbi mentali è nettamente più alta rispetto alla popolazione generale. Le stime indicano infatti come il 4% dei detenuti sia affetto da disturbi psicotici contro l’ 1% della popolazione generale; la depressione colpisce invece il 10% dei reclusi contro il 2- 4%. A far paura sono anche le cifre dei disturbi della personalità con cui convive il 65% dei reclusi, una percentuale dalle 6 alle 13 volte superiore rispetto a quella che si riscontra normalmente ( 5- 10%). “In carcere le malattie mentali hanno un’alta prevalenza: si stima – spiega Andrea Fagiolini, Direttore della Clinica Psichiatrica e della Scuola di specializzazione in Psichiatria dell’Università di Siena – che oltre il 75% dei detenuti convivano con un disturbo mentale. Questo perché se da un lato molti disturbi psichiatricipossono associarsi con un’alta prevalenza di reati, dall’altro la carcerazione e l’ambiente carcerario possono essere fonte di stress che può portare in casi estremi anche al suicidio. Di fronte a questo scenario è importante aggiornare i protocolli di intervento e i relativi prontuari terapeutici delle carceri italiane, incorporando le strategie e trattamenti che oggi abbiamo a disposizione, inclusi i farmaci antipsicotici long acting di nuova generazione”. “La perdita improvvisa di libertà e lo shock derivante dalla detenzione – commenta Luciano Lucanìa, Presidente della Società Italiana di Medicina e Sanità Penitenziaria – sono tutti traumi che incidono sulla psiche dei detenuti, che non sempre hanno la forza interiore di reagire. Da non sottovalutare poi l’impossibilità di comunicare con l’esterno: si passa da un “fuori” che oggi è caratterizzato da comunicazione immediata e social, ad un “dentro” il carcere, dove la persona si trova improvvisamente tagliata fuori dal mondo, senza possibilità di parlare con amici e parenti, senza cellulare o internet. Così i suoi contatti sono limitati ai colloqui con il proprio avvocato, con la famiglia e a qualche programma televisivo. Si tratta di esperienze che a livello psichico possono lasciare segni molto forti, trasformando il carcere in luogo dove possono nascere ed esplodere problematiche di tipo psichiatrico”.
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