Operazione Albania: Anction Aid presenta esposto

 Angela Stella UNità 3 dicembre 2025

ActionAid ha depositato alla Corte dei Conti un esposto di 60 pagine per denunciare lo spreco di risorse “dell'operazione Albania”, il famoso protocollo nato dall’accordo tra Giorgia Meloni e Edi Rama per spedire oltre l’Adriatico i migranti irregolari e quelli trasferiti all'esito di procedure di soccorso in mare. Secondo quanto riportato in una nota di ActionAid “la procura regionale del Lazio dovrà valutare se esercitare l'azione erariale alla luce delle violazioni contestate”. Mentre all'Autorità Nazionale Anticorruzione (Anac) sono state segnalate presunte irregolarità nell'affidamento dell'appalto da 133 milioni per la gestione dei centri: “non è stata verificata nemmeno la rilevanza internazionale dell'appalto, che avrebbe richiesto una procedura più trasparente e aperta”. A giudizio di ActionAid si tratta di uno “sperpero ingiustificabile” di risorse pubbliche, secondo i dati inediti del progetto 'Trattenuti' di ActionAid e dell'Università di Bari sui costi dei centri in Albania. La realizzazione dei centri in Albania, ricostruisce l'associazione, è partita con 39,2 milioni di euro stanziati dalla legge di ratifica del Protocollo. Appena dieci giorni dopo, con il "Decreto Pnrr 2", la competenza è passata dal ministero dell'Interno e della Giustizia alla Difesa e le risorse sono state aumentate fino a 65 milioni. Da allora a fine marzo 2025, ActionAid è riuscita a fornire dati inediti grazie a richieste di accesso civico: “la Difesa ha bandito gare per 82 milioni, firmato contratti per oltre 74 milioni - quasi tutti tramite affidamenti diretti - ed erogato più di 61 milioni per gli allestimenti”. “Soldi pubblici sottratti alla salute, alla giustizia e a welfare e servizi – ha spiegato l'avvocato Antonello Ciervo che ha coordinato il team legale di ActionAid composto da Giulia Crescini, Gennaro Santoro e Francesco Romeo -, ma anche a fondi per la gestione di emergenze. Una distorsione nell'uso di risorse pubbliche ancora più grave, vista l'illegittimità del modello dei centri albanesi”. A seguito degli stop arrivati dalla magistratura nazionale e dalla Corte di Giustizia dell'Unione Europea, il Governo ha reagito “cercando di piegare la normativa per adattarla” al protocollo Italia-Albania. “Nonostante ciò, i centri – ha sostenuto sempre l'associazione - sono ancora ben lontani dall'essere pienamente funzionanti (a marzo 2025 era stato attivato solo il 39% dei posti da capienza ufficiale), e costano molto più di quanto si spenda per strutture analoghe sul territorio nazionale”. A fine 2024 il prezzo giornaliero per detenuto del Cpr di Gjader è quasi tre volte quello di un Cpr su suolo italiano. Nel mentre il 20% dei posti effettivamente disponibili nei Cpr italiani non erano occupati. Anche l’analisi delle spese accessorie (missioni, logistica, facchinaggi, etc) mostra che questo “passaggio aggiuntivo” della detenzione offshore contribuisce solo a bruciare denaro pubblico. Nel dettaglio, la Difesa, oltre agli allestimenti iniziali dei centri, ha speso oltre 2,6 milioni per un intervento di manutenzione e forniture per la nave Libra – inizialmente usata nei trasferimenti e poi ceduta a Tirana -, ma soprattutto per viaggi e indennità di missione per Carabinieri e militari della Marina. Il Ministero dell’Interno ha speso 630mila euro tra trasferimenti e acquisti di tecnologie per il controllo. Una somma esorbitante riguarda il vitto e l’alloggio delle forze dell’ordine: se nel 2024 per il Cpr di Macomer (NU) è costato € 5.884,80 al giorno, in Albania, per 120 ore di concreta operatività tra ottobre e dicembre, si è speso quasi 18 volte in più, € 105.616 al giorno. Il Ministero della Giustizia ha stipulato contratti per quasi 2 milioni ed effettuato pagamenti (a maggio 2025) per € 1,2 mln per il penitenziario di Gjader, mai utilizzato e consegnato al 70%. Il Ministero della Salute ha autorizzato spese per quasi 4,8 milioni e speso già 1,2 milioni. Ciononostante, gli uffici dell’Usmaf Albania, ufficio sanitario di frontiera appositamente creato, sono deserti dal marzo 2025, e la “commissione vulnerabilità” si riunisce esclusivamente “da remoto”, solo in caso di “evidenze oggettive (referti e consulenze mediche specialistiche)” da parte del medico dell’ente gestore. La sanità pubblica non garantisce, nei fatti, il diritto alla salute. “La richiesta di un controllo alla Corte dei Conti e ad ANAC diventa quindi cruciale nel caso di persone formalmente in custodia dello Stato, ma concretamente in mano a società private e cooperative” conclude il lungo comunicato.

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