Fine pena mai Trattamento disumano

Di Valentina Stella Left 27 giugno 2019
Il 13 giugno la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo ha reso noto che l’Italia è stata condannata per la violazione dell’articolo 3 (divieto di trattamenti inumani o degradanti) della Convenzione europea. Il caso ha avuto come oggetto l’ergastolo incomprimibile, meglio conosciuto come ‘ergastolo ostativo’. Secondo i giudici di Strasburgo, la legge del nostro Paese vìola la dignità e sottopone a trattamenti inumani i detenuti quando a priori – ossia quando non collaborano con la giustizia - impedisce loro di ottenere permessi premio, la semilibertà o la libertà condizionale, oppure di lavorare fuori dal carcere. A fare ricorso a Strasburgo è stato, tramite i suoi legali Antonella Mascia, Valerio Onida e Barbara Randazzo, il signor Marcello Viola. Classe 1959,  attualmente detenuto nel carcere di Sulmona, è stato coinvolto in eventi che hanno riguardato due clan mafiosi in lotta dalla metà degli anni '80 fino al 1996. Viola era stato condannato all’ergastolo sia per associazione di stampo mafioso, sia per vari fatti omicidiari contestati. In entrambi i processi l’accertamento della responsabilità si basava su dichiarazioni di collaboratori, tanto che l’uomo si era dichiarato innocente ed estraneo ai fatti criminali. La pena detentiva veniva successivamente rideterminata in ergastolo con isolamento diurno per due anni e due mesi. Il signor Viola aveva chiesto in più occasioni la concessione di permessi premio e la libertà condizionale, ma le richieste venivano puntualmente rigettate dal Magistrato di Sorveglianza e dalle successive giurisdizioni per la mancanza del requisito della collaborazione, nonostante l'accertata buona condotta e un cambio positivo della sua personalità. Il sistema italiano prevede infatti due tipi di ergastolo: quello “ordinario”, previsto dall’articolo 22 del codice penale, che permette un riesame della pena dopo ventisei anni di detenzione e quello incomprimibile, detto appunto “ergastoloostativo”, previsto dall’articolo 4 bis dell’ordinamento penitenziario. Quest’ultimo comporta una impossibilità di riconoscere la liberazione condizionale e gli altri benefici penitenziari, a meno che non si collabori con la giustizia.  Dunque se una persona viene condannata all’ergastolo con l’aggravante del 4 bis è destinata a morire in carcere, perché sottoposta ad un “fine pena mai”. Per questo il signor Viola ha deciso di ricorrere alla Cedu, i cui giudici hanno condannato l'Italia al pagamento di 6mila euro a Viola per i costi legali, e hanno rimarcato che “ la dignità umana, situata al centro del sistema creato dalla Convenzione, impedisce di privare una persona della sua libertà, senza operare al tempo stesso per il suo reinserimento e senza fornirgli una possibilità di riguadagnare un giorno questa libertà”.  Per la Cedu, inoltre, la mancanza di collaborazione potrebbe essere non sempre legata ad una scelta libera e volontaria, né giustificata unicamente dalla persistenza dell’adesione ai “valori criminali” e dal mantenimento di legami con il gruppo di appartenenza, quanto piuttosto dalla volontà di non voler mettere in pericolo i propri familiari all’esterno.  E ancora più importate i giudici scrivono  che “la personalità del condannato non resta congelata al momento del reato commesso”. La decisione di Strasburgo comunque non comporta la liberazione immediata di Viola, di cui i giudici non negano la gravità dei reati commessi. La sentenza in assenza di ricorsi sarà definitiva tra tre mesi.

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