Malafollia, quei racconti di una umanità costretta in cella

di Valentina Stella Il Dubbio 8 maggio 2019

Il 9 maggio a Torino, nel prestigioso contesto del Salone Internazionale del Libro, ci sarà la premiazione del vincitore del Premio Goliarda Sapienza- Racconti dal carcere,  il concorso letterario nato nel 2011 e rivolto alle persone detenute, con il coinvolgimento diretto di grandi scrittori e artisti nelle vesti di tutor. Il progetto è promosso e organizzato da InVerso Onlus con il sostegno di SIAE – Società Italiana degli Autori ed Editori e fin dalla sua nascita ha come madrina la scrittrice Dacia Maraini.  Per questa edizione speciale dal titolo Malafollia, è stata costituita una factory creativa formata da alcuni degli autori (detenuti e qualche ex detenuto) che si sono distinti nel corso delle precedenti edizioni del concorso e che qui si sono cimentati nella scrittura di racconti sul tema della follia in carcere, ispirandosi alle proprie esperienze personali. Scrive ad esempio Michele Maggio:  “La pazzia per me è andare a dormire tutte le sere sperando di morire durante il sonno. La pazzia è svegliarsi tutte le mattine e gemere «Fanculo» a denti stretti. La pazzia è sognare di crepare in un conflitto a fuoco con gli sbirri e di portarsene qualcuno all’inferno. La pazzia è desiderare di tornare in carcere perché il mondo fuori è troppo complicato e possiede un’anima più nera e crudele. La pazzia è andare avanti senza uno scopo. Penso. «La pazzia è un comportamento anomalo rispetto alla società» dico. E mi do un 9 per la risposta diplomatica e un 10 per l’ipocrisia”. I racconti sono pubblicati in un libro dall’omonimo titolo “Malafollia – Racconti dal carcere” edito da Giulio Perrone Editore, in libreria da pochissimi giorni, i cui proventi contribuiranno alla realizzazione di progetti in favore della cultura della legalità. “Talvolta i comportamenti tenuti in carcere sembrano follia – scrive Albinati nell’introduzione -  e invece rappresentano la resistenza contro di essa, un modo per mantenersi vigili, integri, ad esempio il parlare da soli: “i monologhi che facevo ad alta voce, convinto che se fossi rimasto un anno senza comunicare con nessuno come imposto dal verdetto di condanna, avrei perso l’uso della parola””.  La premiazione a Torino sarà preceduta da un reading tratto dai racconti tenuto da Luigi Lo Cascio, a cui seguirà un dibattito proprio con Edoardo Albinati, Erri De Luca, Patrizio Gonnella,  con la conduzione di Antonella Bolelli Ferrera. Gran finale con l’annuncio del vincitore dell’VIII edizione, votato da una Giuria presieduta dal maestro Elio Pecora, composta di scrittori e, anche quest’anno, di studenti liceali. A poche ore dall’appuntamento letterario abbiamo fatto qualche domanda al Presidente di Antigone, Patrizio Gonnella.

Cosa ci raccontano queste storie?

“Si tratta di una antologia che evidenzia come all’interno del carcere esista una umanità molto ricca, profonda, capace di esprimersi, e anche letterariamente nobile; una raccolta di testi che svelano ciò che è nascosto  ai disattenti, spesso male orientati dai media sul tema carcerario. Racconti che ci dicono che non esiste invece quella frattura che viene costruita in modo artificiale e probabilmente artificioso fra carcere e società esterna. Dentro il carcere carcere troviamo quelle stesse sensibilità umane e letterarie che esistono fuori dal carcere. Quel muro che ci separa dal carcere appare molto più dividente di quello che è in realtà”.
Queste narrazioni possono aiutare a superare gli stereotipi che riguardano il tema carcerario?
“È importante che ci sia una empatia tra chi in questo caso legge e chi scrive. Questa immedesimazione potrebbe aiutare sicuramente a superare i pregiudizi. Chiaro è che la portata di comunicazione non arriverà mai a tutti coloro che sono invasi dai tweet di Salvini o dei forcaioli di tutti i tipi. Questa antologia quindi non ha quella portata numerica però ha una forza di impatto emotivo che aiuta a decostruire quei sentimenti di odio, di rabbia e quelli volgari di richiesta di una pena dura, fuori dalla legalità costituzionale, che oggi sentiamo spesso richiamare in giro”.
Qual è la peggior malattia di cui soffre oggi il sistema carcerario?
“Probabilmente è una malattia ontologica: pensare che il carcere sia l’unica pena possibile. Noi crediamo di affidare al carcere tutto quello che vogliamo risolvere fuori dal carcere. Così facendo, non ci liberiamo dal bisogno di carcere. Quando esso non sarà più onnivoro, probabilmente sarà anche meno afflittivo. Purtroppo non si crede più ad un sistema sanzionatorio diversificato, che preveda pene alternative al carcere”
Cosa significa dignità azzerata in carcere?
“Visto che stiamo parlando di un libro proviamo tutti ad immaginare il nostro scrittore che non ha disposizione nessuno spazio per scrivere nella sua cella affollata e in condizioni igieniche e sanitarie precarie e disperanti, con un cappotto addosso perché infreddolito dalla mancanza di riscaldamento in un freddo inverno, con una penna e senza computer che sono vietati anche se non connessi alla linea internet. Non so se possa rappresentare una immagine di dignità negata, ma di sicuro non raffigura l’esecuzione di una pena moderna”.
Chiudiamo questa intervista con l’incipit della introduzione di Patrizio Gonnella a “Malafollia – Racconti dal carcere”: ““La giustizia è lenta ed estenuante, e l’innocenza, anche se provata, soltanto ferita uscirà di prigione” così scriveva Pierre Clémenti nella sua bellissima autobiografia Pensieri dal carcere”. Di questi tempi bisognerebbe meditarci. 

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