L’avvocato non è un prodotto commerciale...

di Valentina Stella Il Dubbio 19 dicembre 2018

“No fee till you’re free" (Nessun costo finché non sei libero): così l’avvocato John Stone, interpretato da uno straordinario John Turturro, pubblicizza, nell’altrettanto straordinaria mini serie tv ‘The night of’, la sua attività su una cartellonistica nella metropolitana di New York. Negli Stati Uniti non è difficile imbattersi in questo tipo di sponsorizzazione della professione legale. In Italia invece questo tipo di pubblicità che potremmo definire sfacciata non ha ancora interessato il campo della professione legale. Ed esiste un Codice Deontologico Forense a protezione del decoro dell’attività legale che all’articolo 17 ‘Informazione sull’esercizio dell’attività professionale’ prevede tra l’altro che “Le informazioni diffuse pubblicamente con qualunque mezzo, anche informatico, debbono essere trasparenti, veritiere, corrette, non equivoche, non ingannevoli, non denigratorie o suggestive e non comparative”.  Però il dibattito sta per accendersi anche qui; il 18 febbraio a Trapani si terrà infatti la prima udienza di uno strano processo: dieci avvocati sono accusati di diffamazione nei confronti di un altro avvocato. La vittima sarebbe Antonino Sugamele del Foro di Trapani, i colpevoli dieci suoi colleghi del foro di Catania e di altre regioni che – come si legge nel rinvio a giudizio – avrebbero ‘in concorso tra loro, mediante messaggi e post pubblicati” su Facebook, recato “lesione” al suo onore e alla sua reputazione professionale. I fatti risalgono al lontano settembre 2014 quando l’avvocato Sugamele pubblica sul noto social network il seguente messaggio: ‘La nostra esperienza il tuo successo. Sei indagato? Contattaci Troveremo insieme una soluzione”. Il post viene condiviso dall’avvocato Enrico Trantino, presidente della Camera penale di Catania fino a qualche mese fa, che così commenta: “Rilancio. Amico indagato, oltre a un’assistenza qualificata e personalizzata per risolvere i tuoi problemi, il nostro studio ti offre tisane e massaggi rilassanti, un materasso in lattice e un televisore Lcd 32 pollici. Ti garantiamo che l’indagine non sarà un tuo problema, ma di chi ha osato coinvolgerti”. Altri avvocati si precipitano a dire la loro, tra questi il noto avvocato di Roma Cataldo Intrieri che scrive: “Le nuove frontiere della professione: ‘Ergastolo? Custodia cautelare? Il tuo vecchio avvocato non risolve il problema? Franc noi offriamo il mojito”. Sugamele, ritenendo lese le sue qualità personali e la sua reputazione, sporge denuncia. Per commentare abbiamo ascoltato proprio l’avvocato Intrieri, difeso dal legale Marco Siragusa. 
Avvocato, Lei insieme ad altri nove colleghi avrebbe diffamato l'avvocato Sugamele. 
Il mio non voleva essere un commento contro la persona e la reputazione del collega che personalmente non conosco. Ho fatto un commento ironico sull’uso inappropriato della pubblicità forense.
Lei definisce quello di Sugamele un post grottesco. Perché?
Il collega ha mutuato una forma di espressione tipica della pubblicità ordinaria - simile a ‘vuoi dimagrire? Devi ristrutturare casa?’ – e l’ha trasposta nel campo del processo penale connaturato da ben altra gravità. L’effetto che lui fa scaturire è un effetto involontariamente grottesco che ho evidenziato nel mio commento.  E poi, nel momento in cui si decide di farsi pubblicità e propaganda su Facebook ci si deve sottoporre anche al diritto di critica. Ribadisco che non si tratta di un commento alla persona ma ad un modo di fare pubblicità che per quanto mi concerne sfiora quasi la comunicazione ingannevole perché non c’è avvocato che possa risolvere i problemi legali come se si trattasse di far dimagrire una persona o ristrutturare un appartamento.

Secondo lei questo tipo di messaggi sviliscono il processo penale?
Certo, perché adattano una modalità di comunicazione di tipo commerciale ad una realtà come il processo penale che è molto più drammatica.
Lei sempre su Facebook scrive che questa vicenda tocca diversi temi: ‘i limiti della pubblicità forense, il diritto di opinione libera e di critica, qualche riflessione sui criteri di obbligatorietà dell’azione penale, la tutela che gli Ordini dovrebbero garantire ad un corretto esercizio della professione’. Può spiegare meglio?
In questa vicenda più che i profili penali sono da rilevare quelli deontologici e disciplinari. Qui o abbiamo sbagliato noi a fare quei commenti o ha sbagliato il collega a fare quel tipo di comunicazione. Gli ordini preposti e i consigli disciplinari dovrebbero esprimersi e darci una risposta.  Inoltre, al momento c’è una forte polemica in tema di prescrizione: si sostiene che sia necessario bloccarla altrimenti i processi non si fanno. Al contrario bisognerebbe procedere ad una robusta depenalizzazione e poi soprattutto applicare istituti, come l’irrilevanza del fatto oppure semplicemente riconoscere che vicende come questa non hanno risvolto penale.  Si tratta di una vicenda che al massimo deve configurarsi come questione disciplinare, deontologica. Che si vada a fare un processo penale con dieci imputati è qualcosa che non comprendo come avvocato, a prescindere dal mio coinvolgimento. È un gatto che si morde la coda: da un lato ci si lamenta dell’eccesso di denunce e dall’altra parte non si fa nulla per filtrare questo eccesso di denunce che spesso sono espressione di permalosità personale.  

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