Mascherin: «Carcere, con questa riforma avremo più sicurezza»

Trascrizione a cura di Valentina Stella 24 marzo 2018

Andrea Mascherin, presidente del Consiglio nazionale forense, è stato intervistato da Donatello Vaccarelli durante il programma “Tgtg” di TV2000. Ecco i passaggi salienti dell’intervista.

Prima di commentare la riforma dell’ordinamento penitenziario le chiedo un commento sul Datagate che ha coinvolto Facebook. Si tratta di un tema molto attinente agli interessi della categoria che lei rappresenta, quello dei diritti.

Era un approdo inevitabile. I social sono diventati un fine, uno scopo e non uno strumento. Si tratta dell’affare del secolo, pochissimi soggetti, e ricordo che siamo di fronte al più grande oligopolio della storia, gestiscono un affare economico di gran lunga superiore a quello del petrolio. Era chiaro che i dati sarebbero stati utilizzati in maniera più o meno lecita. A mio avviso dobbiamo recuperare la capacità di costituire comunità e solidarietà reali rispetto a quelle virtuali. Il social è un mezzo e tale deve rimanere.

Con gli strumenti normativi fino a che punto è possibile proteggere il cittadino da se stesso, considerato che in realtà siamo noi che ci consegniamo a questi strumento?

Gli strumenti normativi possono arrivare fino a un certo punto, anche perché si tratta di realtà globali, internazionali anche difficili da individuare. Entrano in campo diverse problematiche legate alla competenza, alle giurisdizioni. Credo che, al di là delle norme, si tratti di una questione culturale: soprattutto i giovani, gli studenti, devono comprendere che non si tratta di praterie senza regole dove si può dire ciò che si vuole, dove si possono mandare in onda filmati in maniera indiscriminata. Si tratta di uno strumento che merita grande attenzione e su cui occorre fare cultura. Noi col progetto Alternanza scuola- lavoro, insieme al ministero dell’Istruzione, lo stiamo facendo.

Passiamo alla riforma dell’ordinamento penitenziario, varata dal governo pochi giorni fa. Ci aiuta a capirla?

Le dico qualcosa che forse la sorprenderà: questa riforma probabilmente renderà più rigorosa l’applicazione delle misure alternative al carcere. È vero che viene ampliato un po’ l’esercizio della discrezione del giudice ma vengono fissati anche tanti paletti e viene affermato il principio della personalizzazione della misura. Sarà in realtà più difficile ottenerla perché l’asticella è stata elevata, ma con un indirizzo corretto che è quello di riconoscere alla pena non solamente l’aspetto afflittivo e retributivo, che ovviamente è corretto che ci sia, ma an- che quello dell’attenzione al recupero del reo. Questi strumenti non fanno altro che applicare in parte le decisioni della Corte costituzionale, in parte le decisioni della Corte europea dei Diritti dell’uomo, ma soprattutto vanno anche verso una idea di pena riparatoria, ossia si valorizza sempre più la riparazione attraverso attività a favore della vittima o della comunità, come i lavori socialmente utili.

Alcune categorie di detenuti re-

stano esclusi, i condannati per mafia e terrorismo, per esempio?

Certo, su questo non ci sono equivoci.

Che significa semilibertà e affidamento in prova?

Ottenere l’affidamento in prova significa poter scontare la pena, peraltro a condizione che sia contenuta nei 4 anni, fuori dal carcere attraverso dei lavori esterni, con una attività possibilmente risarcitoria del danno e con modalità tali da poter anche imparare un mestiere, quindi in modo da reintrodurre attivamente il soggetto nella società.

La semilibertà, invece, prevede sostanzialmente il rientro nel carcere per le ore notturne, compiendo una attività lavorativa all’esterno.

Inutile negare che in questo momento spira un vento contrario ai principi ispiratori di questa riforma, se pensiamo ad esempio alla posizione di Matteo Salvini. Come avvocatura che valutazioni esprimete?

A parte il rispetto della Costituzione, esiste un aspetto molto più pragmatico: le statistiche del ministero ci dicono che il 70% di coloro che scontano la pena in carcere tornano a delinquere, sono recidivi. Tra quelli che sono ammessi a misure di recupero e alternative, torna a delinquere il 19%, una quota molto inferiore. E addirittura, tra quelli che vengono pienamente reinseriti nel mondo produttivo solo l’ 1% torna a commettere reati. Quindi si tratta di strumenti che favoriscono la sicurezza.

La giustizia ripartiva va a beneficio sia del reo che della collettività?

Non solo aumenta il tasso di sicurezza, come evidenziato anche in altri Paesi, ma poi c’è un altro aspetto importante: lo Stato e noi cittadini risparmiamo, perché il soggetto passivo in carcere lo manteniamo tutti noi, il soggetto attivo permette un risparmio per quel che riguarda la detenzione in carcere, e il recupero di forze produttive anche nell’interesse dell’economia del nostro Paese.

Nella riforma sono previste anche maggiori attività di svago, di lavoro, di studio, anche la detenzione vicino casa nei limiti del possibile. Ma anche l’uso del computer, della posta elettronica, di skype. Hanno fatto scalpore le immagini della cella di Anders Behring Breivik, l’attentatore artefice della strage di Utoya, che in Norvegia è detenuto in una cella confortevole.

La privazione della libertà è già una pena di per sé importantissima e pesantissima. Se noi stiamo qualche giorno in casa perché malati e non possiamo uscire soffriamo questa costrizione. Quindi la privazione della libertà è la pena massima. I principi umani e umanistici e comunque di tutte le Carte fondamentali, in cui è prevista la privazione della libertà per espiare la propria colpa, prevedono però che il reo debba essere messo nelle condizioni di vivere dignitosamente. Paesi che se lo possono permettere forniscono strutture di questo genere, da noi invece la situazione dell’edilizia carceraria è molto precaria.

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