Ristorante “ Art. 21”, quando la solidarietà diventa buona cucina

di Valentina Stella per il Dubbio 21 01 /2017

Da qualche mese a Taranto, a Porta Napoli, a due passi dal mare e dal quartiere Tamburi a ridosso dell'Ilva,  si può mangiare ottimo pesce in un posto molto particolare: è il ristorante sociale "Art. 21", nato da una idea di Don Francesco Mitidieri, cappellano del carcere di Taranto che insieme allo staff dell’associazione “Noi e Voi” gestisce una casa famiglia per carcerati in misura alternativa e richiedenti asilo. Costola della cooperativa è proprio la trattoria pugliese di cui fanno parte un detenuto in semi libertà, due ragazzi immigrati, sbarcati dall'Africa e transitati prima nei centri di accoglienza, e tre ragazzi della periferia tarantina che si alternano nella cucina e tra i tavoli del ristorante per una nuova esperienza di lavoro, di integrazione e solidarietà, di speranza per un futuro nuovo e diverso dal proprio passato. Ad affiancare i ragazzi come volontario c'è uno chef di professione  per far acquisire loro le competenze che potranno essere utili dentro e fuori il locale. Don Francesco come nasce l'idea di Art. 21? "Siamo partiti grazie al sostegno della fondazione Megamark che ci ha permesso di mettere per iscritto la nostra idea progettuale di creare un luogo che divenisse crocevia di diverse culture, persone e realtà sociali.  Ma siamo rientrati anche in un progetto finanziato da Fondazione con il Sud, che prevede la valorizzazione della città di Taranto, in particolare del quartiere Paolo VI. Quando i sogni sono condivisi diventano realtà".  Perché chiamare il ristorante proprio Art. 21? "Coincidenza come provvidenza: l'art. 21 della Costituzione italiana è quello sulla libertà di pensiero e quindi luogo di incontro come lo avevamo immaginato, l'art. 21 dell'ordinamento penitenziario  regolamenta il lavoro fuori dal carcere, e l'art. 21 del testo unico sull'immigrazione è strumento reale e concreto per gli immigrati per avere un regolare permesso di soggiorno". Qual è l'obiettivo a lungo termine di questo esperimento solidale? "La nostra idea è quella di creare un welfare sostenibile, incrementare attività come questa e crearne di nuove: proprio ieri è stata firmata da parte del presidente della cooperativa Antonio Erbante una convenzione con il carcere per avviare una pasticceria all'interno dell'istituto di pena". Don Francesco, un utente su Tripadvisor, il noto portale di recensioni, scrive di Art. 21 "Quando la solidarietà si fa gusto”. Come è stata accolta l'iniziativa dalla città? "È stata accolta benissimo. Lo notiamo soprattutto dal fatto che molta gente ritorna a mangiare da noi. Le persone che sono venute all'inizio incuriosite tornano con le proprie famiglie e non più come rappresentanti di singole associazioni invitate o attirate dal passaparola della novità". Lei è da oltre dieci anni cappellano della casa circondariale di Taranto. Secondo la scheda del Ministero della Giustizia ci sarebbero quasi 200 detenuti in più rispetto alla capienza prevista. Lei rileva delle criticità all'interno della comunità penitenziaria? "Negli ultimi tempi stiamo abbastanza meglio. Dopo la sentenza Torreggiani è migliorata la situazione di vivibilità. Qui a Taranto stiamo vivendo questa grande apertura da parte della direzione del carcere nei confronti del territorio e questa per me è la strada maestra, perché nel momento in cui il carcere e la città iniziano a dialogare cambia il modo di vedere chi esce dal carcere, e quindi non ci sono più tanti preconcetti nei confronti di chi ha commesso un reato, così come anche per chi è all'interno del carcere ci sono tante occasioni che sono realmente rieducative e risocializzanti".  Mercoledì nella sua relazione al Parlamento il ministro Orlando ha dichiarato anche di voler "procedere per la strada delle pene alternative, delle comunità come luogo" in cui scontare la propria pena". Come commenta? "Bisogna sperimentarsi in una graduale libertà, in una riacquisizione del vivere sociale. Isolare una persona, tenendola chiusa, senza un dialogo tra carcere e città non ha senso. Invece le misure alternative permettono di scontare una pena, perché bisogna ricordare - visto che spesso ci si dimentica - che le misure alternative sono una reale esecuzione della pena fatta all'esterno dell'istituto carcerario, attraverso cui il detenuto può valorizzare le proprie risorse, come le relazioni affettive e familiari e sociali e può darsi anche concretamente da fare, cercando di trovare occasioni formative e lavorative, cosa che all'interno delle carceri può diventare più difficile. Noi continueremo su questa strada, come già facciamo da 15 anni."

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