Intervista a GianLuigi Gatta
di Valentina Stella Il Dubbio 17 agosto 2022
Decreto
attuativo della riforma del processo penale: parla il Prof. Gian Luigi Gatta, ordinario
di Diritto penale nell’Università di Milano e consigliere della Ministra Cartabia.
Indagini. Alcuni
contestano una restrizione dei tempi di durata.
La durata massima si riduce nei
procedimenti per le contravvenzioni; per quelli relativi ai delitti mutano solo
i termini base, allungati per consentire di svolgere meglio, per più tempo in
segreto, le indagini per i reati più gravi. Si è poi intervenuti sulle
proroghe: una sola, di sei mesi, e motivata dalla complessità delle indagini. Non
si può costruire un processo di efficiente e di ragionevole durata ignorando
l’esigenza della qualità e tempestività delle indagini.
Il pm dovrà
chiedere l’archiviazione se gli elementi acquisiti non consentono una ragionevole previsione di condanna. Non dovrebbe
già essere così?
Guardi, il
processo non è il luogo dove il pm va a cercare le prove davanti al giudice o a
saggiarne l’effettiva idoneità; è il luogo in cui porta a giudizio l’imputato
quando è ragionevolmente convinto che gli elementi raccolti a suo carico
porteranno a una condanna. Se la percentuale degli assolti in primo grado è di
circa il 35% vuol dire che il filtro nelle indagini preliminari non ha
funzionato. Il processo è di per sé una pena per chi lo subisce, e va evitato
ogni volta in cui non vi è una ragionevole previsione di condanna.
Impugnazioni: le
preoccupazioni dell'Unione Camere Penali erano eccessive?
In Italia l’appello dura otto volte di più rispetto alla
media del Consiglio d’Europa. Per ridurre i tempi medi del processo è
inevitabile filtrare e ridurre il numero dei procedimenti per i quali si
celebrano secondo e terzo grado di giudizio. Le principali leve della riforma
sono l’inammissibilità dell’appello per mancanza di specificità dei motivi,
l’inappellabilità delle sentenze di condanna alla pena sostitutiva del lavoro
di pubblica utilità e delle sentenze di proscioglimento o non luogo a procedere
per reati puniti con pena pecuniaria o alternativa.
La Presidente del
Cnf Maria Masi: "il timore è che il prezzo da pagare in nome della
semplificazione, celerità e razionalizzazione delle procedure sia, ancora una
volta, il sacrificio del diritto alla difesa".
Posso tranquillizzare la Presidente Masi, con la quale
l’interlocuzione della Ministra Cartabia e mia, quale suo consigliere per le
professioni, è continua: l’efficienza del processo nella riforma non è
concepita in chiave aziendalistica. Il processo deve sempre essere conforme ai
principi e alle garanzie costituzionali, a partire da quelle della difesa. È un
punto fermo. Il processo è il luogo nel quale vanno accertati in tempi
ragionevoli i fatti e le eventuali responsabilità, sempre nel rispetto delle
garanzie. Un processo che tutela le garanzie ma che ha durata irragionevole e
non accerta fatti e responsabilità non adempie alla sua naturale funzione. Le
garanzie, nel dibattito pubblico, non devono essere agitate come un freno
all’azione riformatrice, di cui il Paese ha un vitale bisogno. Devono piuttosto
accompagnarla sempre e l’avvocatura fa bene a ricordarlo.
Molte polemiche per
la possibilità che sia il giudice di cognizione ad irrogare misure alternative
al carcere per condanne sotto i 4 anni.
È purtroppo ancora diffusa l’idea che il carcere sia
l’unica pena ma non è così. Nella maggior parte dei paesi accanto al carcere
sono previste pene diverse. Perfino negli USA, il Paese della mass-incarceration,
su 10 condannati solo 3 sono in carcere; 7 sono ‘supervised in the community’.
In Italia il rapporto è di 4 a 6: a fronte di 55.000 detenuti, 73.000 persone
scontano la pena nella comunità. L’esecuzione penale esterna è già realtà. Non
si può fare a meno di alternative al carcere, nell’interesse di tutti: i tassi
di recidiva si riducono notevolmente. La riforma rivitalizza le pene
sostitutive della l. 689/1981 e razionalizza il sistema. I condannati a pene
detentive inferiori a 4 anni dal 1998 possono infatti già evitare il carcere con
la sospensione dell’ordine di carcerazione e la richiesta al tribunale di
sorveglianza di una misura alternativa. Nel 70% dei casi è l’affidamento in
prova al servizio sociale, concesso spesso a distanza di anni, generando i c.d.
liberi sospesi: condannati liberi in attesa di sapere se e quale pena scontare
a distanza di anni dalla condanna. La riforma anticipa al giudizio di
cognizione la decisione sulla sostituzione della pena, entro lo stesso limite
di 4 anni. Le pene sostitutive sono immediatamente esecutive, incentivano i
riti alternativi e riducono il fenomeno dei liberi sospesi, che si stima siano circa
80/100.000. Sono inoltre pene dal contenuto effettivamente sanzionatorio e
risocializzante, perché costruite sull’idea della pena come programma di
reinserimento sociale: lavoro di pubblica utilità, detenzione domiciliare e
semilibertà. Oltre alla pena pecuniaria per le pene inflitte in misura non
superiore a un anno. La direzione è quella della effettività ed efficacia della
pena.
Un importante
capitolo riguarda proprio le pene pecuniarie.
Anche qui la direzione è quella dell’effettività. Oggi
solo l’1% di multe e ammende viene eseguito, il riscosso è pari allo 0,4%, con
perdite di oltre due miliardi di euro l’anno. E’ inaccettabile. La riforma
cambia il sistema: abbandona la farraginosa procedura del recupero crediti e prevede
un ordine di esecuzione del pm con l’initimazione di pagare entro 90 giorni. Se
il condannato, pur potendo, non paga, la pena pecuniaria si converte in
semilibertà, che cessa non appena il condannato paga. Se il condannato non può
pagare, per difficoltà economiche, la conversione è in lavoro di pubblica
utilità o, se vi è opposizione, in detenzione domiciliare. La minaccia della
conversione indurrà a pagare, come avviene in Germania e in altri paesi europei.
Giustizia riparativa:
servirà anche un approccio culturale diverso da parte dell'intera società?
La giustizia riparativa arriva nel nostro Paese sulla
scia di un fecondo movimento di pensiero internazionale: va studiata, compresa
e sperimentata. Anche su questo terreno la riforma Cartabia è innovativa e
coraggiosa. Serve un approccio culturale diverso alla pena e al problema del
rapporto autore vittima di reato. La stampa e la politica dovrebbero favorirlo,
nell’interesse del progresso civile del Paese. Lo Stato non deve solo punire ma
altresì incoraggiare la soluzione dei conflitti, la riparazione dell’offesa, la
riconciliazione, il superamento della ferita causata dal reato all’individuo e
alla società. È una concezione moderna della giustizia penale e dei bisogni della
società, che necessita di pacificazione e di difesa degli interessi e dei
valori, prevenendo i reati e riducendo la recidiva.
Tra
inammissibilità e improcedibilità, quale prevale?
La soluzione della Cassazione mi persuade:
prevale l’inammissibilità perché l’impugnazione inammissibile non consente la
costituzione di un valido avvio della corrispondente fase processuale.
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