Sant'Angelo dei Lombardi: carcere- modello, con orto, officina e tipografia


di Valentina Stella Il Dubbio 22 agosto 2017

«Intraprendere mirate iniziative trattamentali, fare rieducazione nelle carceri sono attività sofisticate, complesse, di lunga durata: convincere una persona a non commettere più un reato, indicandole una strada e fornendole degli esempi positivi, è certamente più difficile che chiudere la cella e buttare la chiave'. È con questo spirito che il dottor Massimiliano Forgione dirige la casa di reclusione di Sant’Angelo dei Lombardi, in provincia di Avellino. «La nostra realtà - racconta al Dubbio - è un unicum nel panorama nazionale: abbiamo 4 lavorazioni penitenziarie, interamente gestite da noi, che consentono di soddisfare una larga parte delle esigenze dell’amministrazione. Mentre negli altri Istituti hanno dato spazio alle cooperative e alle imprese per facilitare il lavoro dei detenuti, noi abbiamo optato per una scelta completamente diversa che ha un doppio fine: oltre che insegnare un mestiere ai reclusi e quindi restituire alla società delle persone che hanno acquisito competenze nel periodo della pena, perseguiamo anche un risparmio per l’amministrazione, quantificabile in diversi milioni di euro».
Il carcere infatti è dotato di una carrozzeria e officina meccanica in cui si riparano le macchine dell’amministrazione penitenziaria, con un risparmio di circa un milione di euro. C’è anche una tipografia che, come ci descrive orgoglioso il direttore, «soddisfa le esigenze di tutta l’amministrazione penitenziaria: rileghiamo libri, realizziamo brochure, striscioni, e timbri. Solo nel 2016 abbiamo prodotto circa 20.000 timbri, per un risparmio di circa mezzo milione di euro». Da due anni a Sant’Angelo si stampano anche i calendari della polizia penitenziaria, con un risparmio, rispetto agli altri corpi di polizia, di circa 300.000 mila euro. «E utilizziamo sempre le risorse interne per consegnarli», precisa Forgione. La percentuale dei detenuti che lavorano è dell’ 80%. I disoccupati sono quelli che, avendo già una pensione o una indennità, sono non idonei al lavoro. Intorno al carcere c’è anche un tenimento agricolo, curato con particolare attenzione alle esigenze del territorio, attraverso la coltivazione dei frutti autoctoni che andavano scomparendo: «produciamo il miele di sulla, dell’ottimo vino, abbiamo anche una tartufaia continua Forgione - poi c’è un orto sociale a cui i detenuti accedono direttamente, dando loro la facoltà di portare i prodotti in cella e cucinarli.
Abbiamo un uliveto con 100 alberi e 250 piante di frutti del luogo».
E in questi giorni in cui si discute di nuovo del sovraffollamento carcerario è da rilevare positivamente che in questo carcere ci sono celle che ospitano due detenuti e sono grandi circa 12 metri quadrati, quindi quasi il doppio dei metri minimi previsti per detenuto. È l’unico istituto in Italia che prevede un frigorifero per cella, i reclusi possono accedere a Sky pagando l’abbonamento, hanno la doccia in cella e le piastre elettriche - i costi dell’energia elettrica sono a carico dei detenuti -, scongiurando così i rischi delle bombolette a gas.
«Tutto quello che è stato fatto in questo Istituto - dice Forgione - eccetto quello obbligatorio per legge tipo la manutenzione degli ascensori, lo hanno fatto i detenuti. Loro sono visti come risorsa per se stessi e per l’amministrazione». Ma anche per la collettività e la sua sicurezza: «se intendiamo per recidiva il re- ingresso in questo istituto, la percentuale è sotto il dieci per cento. Negli ultimi dieci anni non abbiamo avuto nessuna aggressione al personale. Da 8 anni abbiamo aperto le celle sperimentalmente h24, abbiamo due sezioni in cui i detenuti si gestiscono da soli addirittura con la cucina e non abbiamo mai riscontrato un problema. Ovviamente tutto questo è possibile grazie ad una previa selezione attenta e accurata dei detenuti, ma anche grazie al personale che ha aderito convintamente a questa nuova idea di carcere.
Evitare il processo di infantilizzazione del detenuto significa migliorare la convivenza all’interno delle carceri, consentire agli agenti di polizia penitenziaria di tornare a casa sereni, e restituire alla società persone nuove e capaci di reinserirsi nel tessuto sociale», conclude Forgione.

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