J. M., giudicato e condannato senza una effettiva difesa

di Valentina Stella Il Dubbio 8 gennaio 2019

Nessuna conoscenza del processo a proprio carico, nessuna presenza in aula, nessun apparente contatto con l’avvocato  d'ufficio: eppure un cittadino polacco è oggi detenuto in base ad una sentenza di condanna a 4 anni di reclusione. Questa è la storia drammatica di J.M.: la vicenda trae origine da un controllo stradale svolto nel 2010 dalla Guardia di Finanza che rinvenne, all'interno di un camion adibito al trasporto di prodotti alimentari, dodici cittadini extracomunitari provenienti dall'Afghanistan. J.M. (secondo autista del mezzo), nei cui confronti emergevano indizi di colpevolezza per favoreggiamento dell'immigrazione clandestina, veniva invitato, in lingua italiana, a nominare un difensore e ad eleggere un domicilio. L'invito veniva documentato in un verbale prestampato - sottoscritto dall'indagato senza alcuna consapevolezza del contenuto, data la totale assenza di comprensione della lingua italiana - nel quale c’era scritto: “non intendo nominare un difensore di fiducia” ed “eleggo domicilio presso il difensore di ufficio che mi verrà nominato". È l'inizio di una circostanza surreale che il legale di J.M., l'avvocato Massimiliano Oggiano - nominato di fiducia solo poco tempo fa - ha deciso di raccontare a “Il Dubbio”. 

Avvocato, qual è la prima anomalia che Lei riscontra in questa vicenda?

La Polizia Giudiziaria, sottacendo, nel verbale di invito alla nomina di un difensore e di elezione del domicilio, il fatto che l'indagato non parlasse la nostra lingua, ha rappresentato una condizione assolutamente non corrispondente con la realtà.

Poi cosa succede?

L'indagato è stato sottoposto a processo penale, senza mai averne avuto notizia. Il Tribunale, riscontrata la regolarità delle notifiche (avvenute presso il difensore d'ufficio) ha proceduto in contumacia dell'imputato. Nella fase dibattimentale, il difensore d'ufficio ha prestato il consenso all'acquisizione al fascicolo del dibattimento di tutti gli atti di indagine ed il processo si è concluso, assai rapidamente, nel gennaio del 2015, con una pesante sentenza di condanna, mai appellata e mai tradotta in lingua polacca, divenuta esecutiva nell'estate 2015.

E intanto J.M. dov'era?

Alla fine del mese di ottobre dell'anno scorso, a distanza di circa tre anni dalla sentenza, il condannato - che non aveva mai avuto conoscenza del processo penale a suo carico e che aveva sempre condotto una vita lavorativa regolare varcando più volte, in totale buona fede, le frontiere per ragioni di lavoro - è stato fermato in Italia, durante un normale controllo stradale e, previa notifica dell'ordine di esecuzione della sentenza - redatto anch'esso in lingua italiana (assolutamente incomprensibile al condannato), sebbene notificato con “l'assistenza di un interprete” -  è stato arrestato e condotto in carcere per l'esecuzione della pena.

Quindi cosa è andato storto in questa vicenda?

Credo che il processo penale a carico di J.M. sia emblematico della superficialità -  legata talvolta al sovraccarico di lavoro degli uffici giudiziari, talaltra al senso di frustrazione, anche di natura economica, che pervade la professione forense e, non da ultimo, alla poca attenzione per le garanzie dell'indagato da parte della Polizia Giudiziaria – con cui sempre più spesso il giudizio penale conduce ad una sentenza di condanna. Nello specifico, le singolarità della presente vicenda sono legate: alla superficialità con cui la PG ha fatto sottoscrivere il verbale di elezione di domicilio all'indagato che non comprendeva la nostra lingua; alla troppa leggerezza con cui il Tribunale di Ancona ha ritenuto che l'imputato fosse effettivamente al corrente del processo a suo carico e che parlasse e comprendesse l’italiano;all'assenza di qualsivoglia contatto (almeno per quanto mi consta) tra il legale d'ufficio e l'imputato; a talune scelte difensive (forse legate alla difficoltà di entrare in contatto con l'imputato residente all'estero) con cui si è di fatto rinunciato all'istruttoria dibattimentale e si è omesso di presentare appello avverso la sentenza di condanna.

Oggi com'è la situazione del suo assistito?

Veramente disperata. Il detenuto, che si professa innocente, sta scontando la sua pena a quattro anni in un istituto dove, a parte un solo altro detenuto, nessuno comprende il polacco. J.M. è totalmente isolato e non riesce a comunicare con nessuno. Ho richiesto, prima delle feste natalizie, che venisse autorizzata la visita da parte di un prete di nazionalità polacca che portasse conforto al detenuto e solo oggi (ieri, ndr) ho ricevuto l'autorizzazione allo svolgimento di un solo colloquio spirituale con il detenuto.

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