"Diritto di cronaca: in suo nome ormai c'è licenza di uccidere"

(di Valentina Stella Il Dubbio 26/10/2016)

Pagine e pagine di giornali, così come prime serate su Rai e Mediaset,  dedicano molto spazio alla cronaca nera e giudiziaria. Ma si può parlare sempre di libertà di stampa o siamo diventati dei morbosi guardoni? Quale interesse giornalistico hanno, per esempio,  la scarpiera di Isabella Noventa e le caramelle che mangiava, che rilevanza ha il colore delle sopracciglia di Massimo Bossetti, o la musica che ascolta Raffaele Sollecito?  È evidente ormai che i processi siano innanzitutto mediatici.  E la gogna pubblica viene spesso costruita anche attraverso il fermo immagine su persone ammanettate, con la pubblicazione di lettere private tra detenuti, e la messa e rimessa in onda degli arresti: dove finisce il diritto di cronaca e dove inizia invece una anomala e ossessiva attenzione verso gli indagati? Per approfondire la questione dal punto di vista legale, abbiamo intervistato Salvatore Sica, avvocato e  Ordinario di Diritto Privato nell'Università di Salerno, tra i massimi esperti in Italia di tutela della privacy e di diritto dell'informazione e della comunicazione. E' di prossima uscita il suo Commentario al Nuovo Regolamento europeo sulla Privacy.
Avvocato è lecito mostrare la corrispondenza tra due detenuti o tra un detenuto e un familiare, senza il loro permesso? La corrispondenza e la sua segretezza sono addirittura costituzionalmente tutelate come emanazione della più ampia categoria della libertà personale. Ovvio dunque che non sia in linea di principio lecito pubblicare la corrispondenza tra detenuti o tra questi e i propri familiari, a meno che non vi sia un espresso consenso dei diretti interessati ovvero non si perseguano finalità di cronaca, francamente non sempre rinvenibili, soprattutto in trasmissioni che, a dispetto della qualifica di "testata giornalistica", assecondano soprattutto morbosa curiosità sociale.
Lo stesso discorso vale per le immagini delle persone ammanettate, private della loro libertà personale? Anche in questo caso non è lecito: esiste l'art 114 comma 6 bis del Codice di procedura penale secondo il quale è  "vietata la pubblicazione dell'immagine di persona privata della libertà personale ripresa mentre la stessa si trova sottoposta all'uso di manette ai polsi ovvero ad altro mezzo di coercizione fisica salvo che la persona vi consenta". Inoltre la pubblicazione di  immagini è investita anche dalla disciplina di tutela dei dati personali, ancora più specifica e rigorosa. Il problema è che non si può rinviare più la riflessione sull'esimente del diritto di cronaca: sempre più spesso le tre note componenti dell'utilità sociale, della "forma civile" e della verità"putativa", cui va aggiunta, quanto alla privacy, della essenzialità della notizia, vengono trasformate, per dirla con 007, in "licenza di uccidere"!
 Spesso vengono pubblicati o fatti ascoltare stralci dei colloqui di interrogatori con il magistrato. Qui il discorso è parzialmente diverso. Innanzitutto occorre verificare se gli atti in questione siano coperti o meno da segreto di ufficio. Spesso fa parte anche della strategia dell'accusa o della difesa una simile pubblicazione. Semmai il problema è lo squilibrio di potere tra le parti nel processo penale con giornali totalmente "a servizio" di procure che "elargiscono" loro notizie a senso unico. Se anche gli avvocati potessero e sapessero "gestire" la stampa, la pubblicazione non avrebbe nulla di inammissibile. In ogni caso resta fermo il discorso che qualsiasi pubblicazione non può essere strumentalizzata per creare una linea di pensiero dell'opinione pubblica e va fatta nel rispetto della dignità dell'indagato.
E per quanto riguarda i colloqui dei detenuti con i familiari? E che responsabilità hanno coloro che passano alla stampa materiale privato o coperto da segreto istruttorio?  Non è lecita la trasmissione dei colloqui ma neppure la loro acquisizione da soggetti estranei al sistema carcerario. Chi diffonde tale materiale deve rispondere sul piano penale e su quello civile del risarcimento del danno. Ma il problema è più complessivo. Le norme ci sono, ma ottenerne il rispetto è, continuando nei riferimenti cinematografici, una Mission impossible! E' il clima generale che non giova. Se non si interrompe il circolo vizioso stampa- procure, e, d'altro canto, se gli avvocati non avvertono il senso della responsabilità dei rapporti con l'informazione, da utilizzare nel solo interesse dei clienti e non per propria facile pubblicità, nulla cambierà! Insomma è un contesto in cui rischiano di guadagnarci tutti meno che i cittadini; se così è, per favore, almeno mettiamo da parte l'ipocrita celebrazione della libertà di stampa e della manifestazione del pensiero...

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