Prigioniero di me stesso

(Manifesto 19 luglio 2014)

«Ritengo che tra i diritti dell’uomo ci sia anche, anzi soprattutto quello di congedarsi dalla vita quando questa sia diventata per lui soltanto un calvario  di sofferenze senza speranza e, mettendolo alla mercé degli altri, gli abbia tolto anche la possibilità di difendere il proprio pudore, e quindi la propria dignità. L’obiezione dei cattolici è che, la vita essendo un dono del Signore, solo Lui ha il diritto di toglierla alle sue creature. Ed è su questo punto che io voglio dissentire. Io non sono (purtroppo) un credente. Ma se lo fossi troverei sacrilego attribuire al Signore tanta crudeltà verso le sue creature»(Indro Montanelli, Corriere della Sera, 23 febbraio 2000). L’essere umano ha sempre avuto la possibilità di prendere un appuntamento con la morte; da sempre è stato padrone di compiere l’ultimo atto deliberatamente. E’ stato giudicato ora stoicamente virtuoso, ora un essere pavido; tuttavia ha sempre potuto scegliere. Oggi l’uomo post moderno si trova incatenato, invece, molto spesso alla vita, a causa di una nuova medicina, interpretata come sfida alla morte ad ogni costo; e l’uomo in questa sfida è l’unico prigioniero di se stesso, di un corpo che non funziona più o di una mente che ha perso la sua ragionevolezza. Uomini e donne costretti in letti d’ospedali, senza più un barlume di una vita, da loro stessi considerata dignitosa. Chi è che asservisce così l’uomo, negandogli la possibilità di porre fine non più ad una vita ma ad una sopravvivenza? Leggi proibizioniste, che negano la pratica della morte assistita, a cui sono sottese le  cosiddette etiche della vita, che fanno di quest’ultima un bene assoluto inviolabile. In Italia, in particolare, assistiamo all’indifferenza della politica e dell’informazione sul tema del fine-vita, come ribadito nella conferenza organizzata lunedì scorso dall’Associazione Coscioni, a cui hanno partecipato Umberto Veronesi, Vittorio Feltri e Marco Cappato. Quest’ultimo ha dichiarato: “Si lasci il Parlamento libero di discutere di affrontare questi temi davanti all’opinione pubblica, attraverso il cosiddetto servizio pubblico dell’informazione radio televisiva. Se ci sarà dibattito, vedrete che quello che oggi sembra impossibile potrà diventare una possibilità concreta perché è difficile per qualsiasi soggetto politico andare contro delle maggioranze sociali consapevoli e di informate”. “Se non affrontiamo il fine vita significa che siamo deboli e incapaci di affrontare i grandi temi della vita. Per questo ritengo che sia indispensabile arrivare in Parlamento”, ha concluso Veronesi.  

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