Spazio al futuro
(Left Avvenimenti, 19 aprile 2014)
L’astrofisica italiana Simonetta Di
Pippo è il nuovo Direttore dell’UNOOSA (United Nations Office for Outer Space
Affairs), l’Ufficio delle Nazioni Unite per gli Affari dello Spazio Extra-Atmosferico.
Un incarico di prestigio e responsabilità che arriva a segnare un traguardo
importante nella carriera della scienziata, soprattutto se si considera che
questa è la prima volta che l’Italia ricopre tale posizione.
Nata a Roma nel
1959 ed entrata all’ASI (Agenzia Spaziale Italiana) fin dalla sua fondazione
nel 1988, Simonetta Di Pippo è stata Direttore del Volo Umano presso l'Agenzia
Spaziale Europea e, sino a pochi giorni fa, Responsabile dell'Osservatorio per
la Politica Spaziale Europea per l'Agenzia Spaziale Italiana a Bruxelles. Scienziata
prestata alla politica internazionale, donna di numeri e calcoli che applica
allo spazio e al tempo interpretazioni filosofiche. E che fa venir voglia di
alzare più spesso gli occhi al cielo, perché lassù c’è il nostro futuro, forse
la nostra sopravvivenza. Ma veniamo all’oggi.
“Promuovere la cooperazione internazionale per l’uso
pacifico dello spazio extra-atmosferico”:
questa una buona sintesi delle
responsabilità del Suo nuovo incarico, ci racconta da Vienna, sede dell’UNOOSA,
dove si è trasferita il 23 marzo; “ho
effettivamente preso servizio di domenica, in quanto il giorno dopo, 24 marzo,
si sono avviate le consultazioni del sottocomitato legale del COPUOS, il
comitato dell’Assemblea Generale per gli usi pacifici dello spazio
extra-atmosferico per il quale OOSA svolge la funzione di Segretariato”. Si può
costruire la pace da una stazione spaziale? Diciamo che dalla Stazione Spaziale la pace non si
costruisce, la pace c’è. Andare al di là dei confini della Terra richiede
concettualmente ai vari popoli di considerarsi tutti parte della razza umana, per
poter esplorare il Sistema Solare, cioè tutto ciò che è “altro” rispetto al
nostro pianeta. I confini tra i vari Stati sulla Terra poi dallo spazio non si
vedono. E’ tutto un grande bellissimo unico pianeta. Quale sarà,
dunque la Sua funzione e la sua strategia per il futuro? Pur essendo
troppo presto per potermi esprimere, posso dire che OOSA lavora principalmente
sul concetto di “capacity building”, vale a dire che uno dei compiti precipui
del mio ufficio è quello di creare le condizioni e di favorire lo sviluppo di
capacità nel settore spaziale nei Paesi in via di sviluppo ed emergenti, in
modo armonico ed armonioso con i Paesi che invece la capacità nel settore
spaziale l’hanno sviluppata sin dagli albori dell’era astronautica. Lo sviluppo
economico legato allo sviluppo di queste capacità è enorme, così come quello
legato al rafforzamento di competenze esistenti. Una bella sfida, non c’è che
dire; ma così interessante da risultare affascinante, per me che ho cercato
sempre di mantenere la passione nelle cose che faccio e di incidere nella
costruzione di un futuro migliore e sostenibile. Grazie a questa nomina a
Direttore di OOSA, penso che riuscirò a farlo ancora meglio. Una sfida da
Lei vinta è stata la fondazione dell'associazione internazionale Women in
Aerospace Europe, di cui è anche Presidente. E' ancora più difficile per una
donna arrivare a ricoprire un ruolo così importante in un settore ancora quasi tutto
al maschile? Ho fondato,
assieme ad una collega tedesca a giugno del 2009 l’associazione internazionale
Women in Aerospace Europe, che festeggia quindi quest’anno il suo quinto
anniversario. In così poco tempo abbiamo raggiunto circa 350 membri individuali
e 15 membri corporate. Questo dato, da solo, mostra che di questa associazione
si sentiva un gran bisogno. Manca, almeno in Europa, per la componente
femminile di settore, ma anche più in generale, la consapevolezza di quanto sia
importante condividere esperienze e competenze, e cercare quindi una crescita
professionale condivisa. E’ il solo vecchio e annoso problema “competizione vs
cooperazione”. Anche in ambito sociale, tra i diversi generi, si dovrebbe
cercare il consenso mentre si tende ad estromettere la componente femminile, in
quanto diversa, non completamente conosciuta, e quindi difficile. Questa
estromissione, non sempre volontaria o consapevole, reca un danno
considerevole, in quanto il talento non viene utilizzato al meglio e non si sviluppa
una adeguata integrazione di competenze, soprattutto se ci riferiamo a quelli
che vengono definiti i soft skills, più tipici della componente femminile. A
livello personale, pur avendo registrato alcuni, pochi a dir il vero, evidenti
episodi di discriminazione, non ritengo che questi abbiamo influito sullo
sviluppo della mia carriera professionale, come i fatti dimostrano. Il merito
che ha la meglio? Mi piace pensare che sia così. Invece quali sono le sfide attuali della ricerca
aerospaziale? Una colonia su un altro Pianeta? La ricerca di risorse non
terrestri? E quanto interferisce/interferirà
con l’immagine della ricerca scientifica pura la corsa commerciale alla
spazio, pensiamo ad esempio al turismo spaziale? Il turismo spaziale, pur essendo ancora appannaggio di
pochi fortunati a causa del costo dei viaggi spaziali, non va visto in modo
negativo. Apre infatti la possibilità ad un numero sempre crescente di
individui di avere contezza di che cosa significa vivere e lavorare nello
spazio, e quanti benefici ciò porta alla qualità della vita sulla Terra, giorno
dopo giorno. Ognuno di noi, durante la sua giornata, fa ricorso, quasi sempre
inconsapevolmente, al satellite almeno una decina di volte. Le imprese
commerciali nel settore del trasporto umano nello spazio, d’altro canto,
possono cominciare a svilupparsi e a sviluppare un mercato nel settore, grazie
al fatto che i governi nei decenni passati hanno investito soldi pubblici per
consentire lo sviluppo delle tecnologie che oggi vengono usate dai privati. Se
pensiamo, con i dovuti fattori di scala, a che cosa è successo quando si sono
cominciate a sviluppare le aerolinee commerciali, troviamo immediatamente un parallelismo con
quanto sta accadendo oggi. E non solo Virgin Galactic con i suoi voli suborbitali,
ma anche ad esempio Bigelow con la sua stazione spaziale privata che sarà in
orbita presto per servire turisti, scienziati e sfruttamento a fini commerciali
dell’orbita bassa e delle condizioni di assenza di peso che lì si sperimentano.
Basti pensare alla società americana Astrogenetix la quale sta sviluppando un
vaccino per la salmonella, grazie ai risultati dei suoi esperimenti scientifici
durante numerosi voli che ha potuto effettuare in orbita. Se parliamo poi di
società commerciali che si stanno indirizzando allo sfruttamento delle risorse
di corpi del sistema solare, in particolare di asteroidi, che potrebbero
diventare delle vere e proprie miniere, è vero che lì un potenziale mercato c’è,
se consideriamo la scarsità di materie prime e di terre rare sulla Terra. Non
sembra quindi del tutto avventato il tentativo di lavorare in modo privato alla
realizzazione di missioni che abbiano l’obiettivo di estrarre materie prime e
portarle sulla Terra, dove appunto ce ne è bisogno crescente, anche tenendo conto
che i pochi insediamenti dove ancora sono disponibili sono geograficamente
concentrati. Certamente, ora che i fondi pubblici per esperimenti in orbita
bassa diminuiranno per far posto ai privati, è il momento giusto per spingersi
al di là dei confini della Terra, in un programma di esplorazione del sistema
solare che consenta all’umanità di espandersi, e nell’espandersi, di conoscere
meglio il sistema planetario nel quale la razza umana si è sviluppata ed
evoluta. Nonostante
lo spazio sia potenzialmente ricco di risorse per la prosecuzione del genere
umano, sembra non esserci interesse per l'astronomia e l'astrofisica
nelle vite quotidiane dei cittadini. Purtroppo è vero che astronomia ed
astrofisica sembrano lontane dalla vita quotidiana dei cittadini, ma in pratica
non lo sono o non lo dovrebbero essere. Conoscere il pianeta che ci ospita, la
Terra, saperne riconoscere i segnali di difficoltà e di sofferenza, come ad esempio le conseguenze del
cambiamento climatico, significa anche poter conoscere l’ambiente in cui la
Terra è nata e vive, cioè il nostro Sistema Solare, che poi non è altro che un
raggruppamento di corpi situato ai confini di uno dei bracci della nostra
galassia a spirale, la Via Lattea, che ha un diametro di circa 100.000 anni
luce e con una distanza tra noi e il suo centro di circa di 25.000 anni luce.
Certamente, è anche compito nostro, di coloro che si occupano di attività
spaziali cioè, divulgare l’importanza dello spazio per la vita di tutti i
giorni, e far capire come le tecnologie sviluppate e le scoperte effettuate
cambino progressivamente, e in modo drastico qualche volta, il nostro futuro.
Ormai non ci rechiamo più in un luogo non conosciuto senza far uso della
navigazione satellitare nelle nostre auto, ora anche dagli smartphone. E quando
usiamo il velcro anche molte volte al giorno, non necessariamente sappiamo che
si tratta di un derivato dalle attività spaziali. Per non parlare del fatto che
ogni mattina controlliamo che tempo farà e riusciamo a saperlo con una certa
previsione grazie all’utilizzo di dati da satelliti meteorologici. Siamo tutti
spaziali, in qualche modo. Alla
luce di quanto appena Lei ha dichiarato, come si riscrive l'antropologia umana
all'interno di un universo così grande e così sconosciuto, che potrebbe inoltre
nascondere altre forme di vita? Come descritto dallo scrittore e scienziato Carl Sagan nel
suo famoso libro “Pale Blue Dot” (Pallino blu pallido), la nostra Terra non è
altro che un piccolo pianeta nel nostro Sistema Solare, che orbita alla
distanza media di 150.000 km dal Sole. Orbene, appena ci allontaniamo un po’
dal pianeta, e lo osserviamo dallo spazio, ci rendiamo conto, mano a mano che
ci si allontana, che appunto la Terra non è altro che un piccolo pallido blu
pallido e viaggiando verso l’esterno del Sistema Solare ci si accorge presto
che la Terra scompare alla vista. Inoltre, abbiamo già avuto modo di constatare
che esistono fenomeni interessanti e simili a quelli terrestri su altri corpi
del Sistema Solare. Un esempio tra tutti, Titano, la luna più grande di
Saturno. La temperatura sembra proibitiva per ospitare forme di vita, ma su
Titano ci sono fiumi e laghi di idrocarburi, quindi liquidi, ad una temperatura
di circa -180 gradi centigradi. Sappiamo anche che la nostra Terra si trova in
quella che viene definita la zona abitabile del nostro Sistema Solare: si
tratta di una zona nella quale si sono potute sviluppare e mantenere le
condizioni per la nascita e l’evoluzione di forme di vita complessa come la
nostra, con la consapevolezza che solo con qualche punto percentuale più vicino
o più lontano dal Sole, il nostro Pianeta si sarebbe trovato fuori della zona
abitabile e probabilmente la razza umana non esisterebbe. E quando parliamo di
altre forme di vita, esse potrebbero presentarsi in forme molto diverse. Vale
la pena anche menzionare in questo contesto lo studio abbastanza recente di
forme di vita che resistono a temperature e condizioni ambientali estreme, e
che per tali ragioni sono stati definiti estremofili. Se ne trovano in diverse situazioni
estreme sulla Terra, e se ne può quindi dedurre che potrebbero esistere anche
su altri corpi del sistema solare. Si tratta di forme di vita non complesse, ma
certamente questo settore apre una finestra estremamente interessante per le
future missioni di esplorazione. Per dirla con Sir Arthur Clark: ‘Esistono due
possibilità: o che siamo soli nell'Universo o che non lo siamo. Entrambe sono
ugualmente terrificanti’. Ciò non apre anche alla possibilità di un
dibattito etico sulle esplorazioni? C’è
certamente un problema legato alla protezione planetaria, cosa di cui ci si
preoccupa da sempre nelle varie agenzie spaziali quando si progettano e si
costruiscono sonde e strumenti che vanno ad esplorare la superficie di altri
corpi del sistema solare. Si tratta peraltro di un problema di protezione
planetaria che vale nei due sensi. Si deve cioè da un lato proteggere il corpo
sul quale si atterra e si compiono operazioni di ricerca scientifica e
dall’altro, occorre fare molta attenzione ai campioni che in futuro verranno
riportati a terra per analizzarli, perché potrebbero contenere batteri e forme
di vita aliene e ci potrebbero dunque essere dei pericoli, peraltro
sconosciuti, per la Terra e i suoi abitanti. La questione è regolata dal
“Trattato sui principi che disciplinano le attività degli Stati in materia di
esplorazione ed utilizzazione dello spazio extra-atmosferico” approvata dalla
Assemblea Generale delle Nazioni Unite nel 1966, e meglio noto come il
“Trattato sullo spazio extra-atmosferico”. Ed è proprio una delle questioni che
afferiscono al mio ufficio, UNOOSA. Politica
ed etica a parte, tornando alla ricerca pura, il 17 marzo ad Harvard è
stata annunciata la rilevazione degli effetti diretti delle onde gravitazionali
sulla radiazione cosmica di fondo, l'eco fossile del Big Bang. Cosa rappresenta
questa scoperta? Certamente, se
confermata, si tratterebbe di una delle scoperte del secolo, una delle più
importanti in cosmologia, se non la più importante. Il Big Bang, la singolarità
iniziale, il processo di inflazione dell’universo, il suo “eco fossile”
appunto. Senza entrare nei dettagli, direi che si può riassumere così: misurare
un segnale che proviene dall’origine dell’Universo e che marca la nascita del
tempo, beh, è il sogno di ogni scienziato. E mostra anche quanto la Terra non
sia altro, come già detto più volte, un pallino blu pallido in un immenso
universo. Solo questa considerazione, mi si passi la vena filosofica,
aiuterebbe a mantenere un approccio pacifico per una permanenza della razza umana
sulla Terra, e come passo naturale, per una sua continua crescita anche
attraverso una espansione fisica su altri corpi del Sistema Solare. In fin dei
conti, prima che il Sole si scaldi troppo, abbiamo ancora altri 4.5 miliardi di
anni per farlo.
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