Parla Sollecito: "Vi racconto cose che non potreste immaginare"
di Valentina Stella per Linkiesta 9/11/2015
Otto anni fa, proprio nel novembre
2007, in una villetta di via della Pergola a Perugia veniva trovato il corpo
straziato della studentessa inglese Meredith Kercher. Per quell'omicidio c'è un
solo colpevole: l'ivoriano Rudi Guede, condannato in via definitiva con il rito
abbreviato a 16 anni di reclusione. Ci sono voluti invece cinque gradi di
giudizio per scagionare Amanda Knox e Raffaele Sollecito: l'ultimo quello della
Cassazione del 27 marzo 2015 che li ha assolti "per non aver commesso il
fatto". Oggi Raffaele Sollecito si racconta in un libro "Un passo fuori dalla notte - Tutto quello
che non avrete mai immaginato di me", edito dalla Longanesi. L'ho
incontrato al congresso dei Radicali italiani a Chianciano dove dal palco ha
dichiarato di volersi impegnare sul tema delle carceri e della giustizia. Raffaele ha voglia di parlare della sua
vicenda giudiziaria, spera che non capiti a nessun altro ciò che ha subìto lui.
A chiunque lo incontri cerca di spiegare gli errori commessi nelle indagini,
vuole che la gente conosca la sua storia: quella di un ragazzo che a 23 anni,
ad una settimana dalla laurea, con tutta la vita da costruire ancora, si è
trovato invece rinchiuso in carcere con l'accusa di aver sgozzato una ragazza,
mentre al di là delle sbarre tutti lo dipingevano come un mostro. Ora è il
tempo della verità.
Perché hai deciso di scrivere questo libro? Per due motivi: il primo è riscattare la mia immagine da uomo
libero e da cittadino. Non ho mai fatto del male a nessuno e l’immagine che è
prevalsa nei media è stata quella di un ragazzo viziato e spregiudicato, alcune
volte manipolatore ed altre manipolato. Tutti mi hanno conosciuto come il
ragazzo che baciava Amanda appena fuori via della Pergola, mentre il 118
rinveniva il cadavere della povera Meredith Kercher. Quelle immagini e quelle
scene sono state montate e decontestualizzate. In quei momenti cercavo di dare
conforto ad una ragazzina di appena venti anni che mostrava terrore e
smarrimento nel ritrovarsi da sola mentre una sua amica era morta nella casa
che condividevano; i suoi genitori erano letteralmente dall’altra parte del
pianeta e l’unica persona su cui poteva contare ero io. Hanno confezionato con
superba maestria un mostro e una persona che non hanno nulla a che fare con
quello che sono realmente. I media sono stati usati in modo ignobile, inumano e
con estrema cattiveria da parte di chi forniva loro stralci di documenti
dell’inchiesta. Tutto questo ha rovinato l’immagine della mia persona ed ha
distrutto la mia vita ancor prima di poter replicare in qualsiasi modo. Oggi ho
la possibilità di parlare e voglio farmi conoscere per chi sono veramente. Il
secondo motivo - più importante di tutti
- è per un problema sociale molto grave:
non auguro a nessuno di vivere ciò che ho vissuto io. Sei mesi in isolamento e
altri tre anni e mezzo in un carcere di massima sicurezza hanno messo a dura
prova le mie capacità di sopravvivenza e se oggi posso decidere liberamente
della mia vita, è già questo un miracolo. Non posso accettare di vivere in una
società dove si decide della vita e della morte delle persone come è successo
nel mio caso: con estrema leggerezza, perpetuando colpevoli omissioni, amnesie
investigative e soggiogando la scienza ai propri scopi pur di dimostrare un
teorema sbagliato ed impossibile. Voglio che tutti sappiano in quale Paese
viviamo e quali sono i meccanismi della nostra società in tema giudiziario, perché
sono certo che se la gente si rendesse conto di come funziona e quello che
succede non accetterebbe mai e poi mai di vivere in questo modo. Le persone
responsabili di aver cambiato per sempre la mia vita e che hanno tentato di
uccidermi devono assumersi le proprie responsabilità, non con un sistema
vendicativo che le porta a patire ciò che ho sofferto io, ma devono accettare i
propri limiti pubblicamente e non devono nascondersi dietro una presunta e,
fino ad oggi, concreta impunibilità.
Se la sentenza della Cassazione ti ha definitivamente
riabilitato dal punto di vista giudiziario, come mai l'opinione pubblica è spaccata
e ti crede ancora l'assassino di Meredith o almeno un complice di Amanda?
Purtroppo esiste un serio problema
sociale: la televisione ed i giornali fomentano la folla contro dei bersagli
costruiti e confezionati al dettaglio. Quelli che hanno problemi, siano essi
sociali o psicologici, non ci perdono nulla nella loro debolezza a venire
investiti da un forte senso di rabbia e frustrazione. Nel momento in cui si
presenta l’occasione si scagliano contro il primo personaggio negativo che gli
viene servito sul piatto; purtroppo queste persone non sanno nulla di quello
che è accaduto durante questi otto anni di processi e dramma di vita, né sono
interessati a sapere nulla. Gli fa comodo pensare di me che sono un mostro, un
assassino che l’ha fatta franca, perché così si sentono più leggeri e meno
affaticati per le loro beghe quotidiane.
Quattro anni in carcere, mesi in isolamento: cosa significa
viverli per un ragazzo innocente che proprio in quel periodo stava pianificando
il suo futuro? Farai causa allo Stato per chiedere il risarcimento dei danni
per ingiusta detenzione?
Per me è completamente insensato e
incivile che debbano pagare i cittadini per una valanga di errori - orrori - commessi da professionisti al
servizio dello Stato. La stessa sentenza di Cassazione (ndr per leggerla cliccare QUI)
parla di colpevoli omissioni, amnesie investigative, analisi genetiche forensi
al limite del grottesco. “Colpevoli” in italiano significa che hanno delle
responsabilità precise e non significa che hanno sbagliato inconsapevolmente. Insieme
ai miei avvocati stiamo studiando come possiamo richiedere agli organi
competenti di fare chiarezza e luce sulle persone responsabili della
distruzione della mia vita gratuitamente. Non sarà facile dato che le leggi
italiane tutelano moltissimo l’operato della Magistratura e delle forze
dell’Ordine anche in casi così lampanti e clamorosi come il mio. Non cerco
vendetta né voglio vedere nessuno punito. Mi basterebbe che pubblicamente
ognuno si prendesse le proprie responsabilità. Questo è prima di tutto ciò che
voglio, il risarcimento è secondario rispetto a questo.
Rudy Guede è l'unico colpevole per quell'omicidio? Qualcuno
continua a sostenere che è dietro le sbarre solo perché non si è potuto
permettere i tuoi stessi avvocati o che comunque persiste ancora il 'concorso
in omicidio' con altri.
Ho spiegato più volte che il concorso
è stato un errore di percorso. Davanti al GUP, giudice dell'udienza preliminare,
Guede - che non ho mai visto né conosciuto tra l’altro - chiese di poter fare
il rito abbreviato per avere uno sconto di pena in caso di condanna e perché,
secondo i suoi avvocati, il quadro probatorio non dimostrava nulla e non
avevano niente da obiettare alle risultanze investigative degli inquirenti. Amanda
ed io chiedemmo il rito ordinario perché le prove presentate contro di noi non
avevano, e non hanno mai avuto, nessuno senso logico e fattuale, quindi
volevamo discuterne davanti ad una corte con consulenze e perizie. Il GUP di
Perugia, davanti a queste richieste diverse e diametralmente opposte, decise di
accontentare tutti, sbagliando. Il processo contro Rudy Guede fu celebrato a parte,
di fronte ad un altro giudice; si portò dietro delle accuse contro imputati
fantasma e, soprattutto, risultati scientifici e investigativi ormai obsoleti
dopo le perizie e le consulenze effettuate in Corte d’Assise nel processo contro
Amanda Knox e me. I due processi che dovevano chiarire un quadro unico si
celebrarono in due pezzi ben distinti e separati in cui le informazioni e le
risultanze di un processo non potevano e non riuscivano ad entrare nell’altro e
viceversa. Le Corti che hanno giudicato Guede si sono ritrovate davanti anche
ad accuse e risultanze che non avevano nulla a che fare con lui e su cui non
potevano nemmeno esprimersi. Noi tentammo di portare Guede ad essere esaminato
nel nostro processo senza alcun successo, perché lui si avvalse della facoltà
di non rispondere e la stessa accusa e l’avvocato della famiglia Kercher
accolsero e furono inspiegabilmente d’accordo col suo silenzio. La Corte di Cassazione che stabilì
definitivamente la responsabilità di Rudy Guede per l’omicidio di Meredith
Kercher non poteva cambiare l’ipotesi d’accusa e non poteva giudicare un quadro
probatorio appartenente ad altri completamente assenti nel suo processo. Quindi
si limitò a parlare di "eventuali" responsabilità di altri correi in
concorso con Guede. Di fatto quegli eventuali correi di Guede eravamo Amanda ed
io e di fatto l’”eventualità” è morta e sepolta perché si è stabilito una volta
e per tutte che non abbiamo nulla a che fare con l’omicidio di Meredith
Kercher.
Che rapporto hai costruito con l'avv. Giulia Bongiorno? Tu
scrivi nel tuo libro che 'con lei bisogna sempre dosare le parole, essere
estremamente educati, aspettare il proprio turno per parlare'.
L’Avvocato Bongiorno per me è sempre
stata un punto di riferimento insostituibile. Nel mio libro racconto molto bene
il suo arrivo nella mia difesa; ci tenne tutti col fiato sospeso per quasi
cinque mesi. Voleva, doveva leggere tutti gli atti del processo prima di
decidere e noi non abbiamo mai avuto la possibilità economica di onorare il suo
lavoro, perché le sue parcelle non sono mai state alla nostra portata.
Nonostante tutto accettò la mia difesa e venne a trovarmi in carcere per
guardarmi negli occhi e capire se avesse mai potuto dubitare di me. Nei mesi, negli anni lei si è sempre
dimostrata una professionista estremamente brillante e notammo tutti che, in
generale, non instaurava mai un rapporto umano “morbido” con i suoi clienti e
dipendenti. In poche parole lei trattava il suo lavoro come un tempio sacro,
quasi come se qualsiasi sussulto di emozione potesse incrinare i pilastri di
una maestosa e sacra opera. Con me, col tempo, ha messo a rischio i suoi
pilastri per lasciare posto anche ad un abbraccio quando ci fu la prima
sentenza di condanna e quando ha cominciato e non ha mai smesso di darmi dei
consigli preziosi, affettuosi, in una parola: materni.
Riesci a descrivere le sensazioni prima e dopo la sentenza della
Cassazione, mentre eri nella tua casa ad attendere?
Ho fatto una descrizione molto
dettagliata nel mio libro. Come in molti sanno ero a Roma con la mia famiglia,
la mia fidanzata ed i miei amici. Mio padre decise di tornare a casa prima che
la Corte pronunciasse la sentenza. Vivevo tutto come sospeso in un limbo fatto
di angoscia e speranza: sapevo che stavo combattendo una battaglia estremamente
più grande di me, ma, allo stesso tempo, sapevo che le ragioni della mia
battaglia prescindevano dalla mia vita e sono state importanti per rendere onore
alla verità ed a tutte le persone che come me possono essere coinvolte
inconsapevolmente in orrori giudiziari come e peggio del mio; dove i tuoi
diritti vengono piegati e/o scompaiono del tutto a seconda delle necessità di
chi ha il potere. Mi sono fatto coraggio ed ho pensato che le mie scelte, a
prescindere dal risultato, dovevano essere scelte giuste, scelte che potessero
dare l’esempio. Ero estremamente convinto delle mie scelte, anche se avevo
paura. La decisione di mio padre mi sconvolse; capii che lui voleva tornare a
casa perché, in caso di condanna, se fossimo rimasti a Roma, sarei stato
incarcerato nel carcere di Rebibbia, molto distante da casa nostra, quindi
voleva almeno assicurarsi di avere la possibilità di avermi più vicino. Tutto
questo mi fece sentire come se mi avessero portato sul patibolo per celebrare
un’esecuzione, l’ansia e l’angoscia mi stavano divorando il cervello. Ci
riunimmo tutti a casa mia tranne mia sorella Vanessa, che rimase a Roma ad
attendere la pronuncia dei giudici. Cercavano tutti di sorridermi e
rassicurarmi, ma la realtà era decisamente più forte. Dopo molte ore di attesa,
arrivò la telefonata di mia sorella Vanessa al cellulare di mio padre. Ci
fermammo tutti ad ascoltare le sue parole e a me sembrò che il mio cuore si
fermasse, ma alla parola “INNOCENTE!”, da lui gridata, lanciammo tutti un urlo
e cominciammo a saltare dalla gioia. Piovvero abbracci, telefonate, vicini di
casa che suonarono al campanello e, a sorpresa di tutti, anche gli stessi
poliziotti che mi pedinavano da giorni, entrarono in casa per stringermi la
mano e augurarmi ogni bene. Ora è iniziata un’altra èra pensai, da questo
momento in poi, la mia vita è tornata nelle mie mani.
I media hanno costruito di te l'immagine di un ragazzo
spregiudicato, viziato, diabolico, con la finta faccia d'angelo e con alle
spalle il clan Sollecito pronto a fare tutto per difenderti. Perché secondo te?
Cosa è successo a tua sorella per colpa di questa vicenda?
I media non hanno fatto altro che
dipingere esattamente il quadro che l’accusa aveva descritto loro. Non si sono
mai sprecati a cercare di capire chi fossi io e la mia famiglia. Se i pubblici
ministeri e gli inquirenti perugini dicevano che io ero uno spregiudicato,
viziato, diabolico, con la faccia d’angelo e con alle spalle il clan Sollecito,
voleva dire che doveva essere così, perché purtroppo per molti cittadini chi
porta una toga, una divisa o un’uniforme, non avrebbe alcun motivo di dire il
falso, di mistificare, di raggirare e piegare la realtà ai propri scopi. Invece
le persone devono rendersi conto che la realtà è diversa: chi porta la divisa,
la toga o l’uniforme non è altro che un essere umano ed è fallace come tutti
gli esseri umani, in quanto tale, può avere dei sentimenti di odio, vendetta,
cercare di sottomettere e soggiogare tutto per brama di potere, carriera, fama. Mia sorella, quando fui arrestato, era
un ufficiale dell’Arma dei Carabinieri e stava aspettando il passaggio
automatico al servizio permanente. Purtroppo, dopo il mio arresto, ebbe molte
discussioni con i suoi superiori, per via della mia situazione e pian piano la
misero tutti in cattiva luce, allontanandola. Alla fine è stata
congedata.
Il processo, stando alla sentenza della Corte di Cassazione, ha
avuto “un iter obiettivamente ondivago, le cui oscillazioni sono, però, la
risultante anche di clamorose défaillance o ‘amnesie’ investigative e di
colpevoli omissioni di attività di indagine”. Vuoi raccontarci in breve qualche
episodio che metta in luce gli errori dei pm? Hai avuto riscontri al tuo
appello al Presidente Mattarella affinché si faccia chiarezza su quello che ti
è accaduto? E cosa ti aspetti che le istituzioni facciano per riparare
all'errore commesso nei tuoi confronti?
Ti posso fare diversi esempi, che
meritano tutti un deciso approfondimento da parte delle istituzioni. Un esempio
sono i computer che mi furono sequestrati: sono un ingegnere informatico e
rimasi sbalordito quando mi comunicarono che i tecnici che stavano effettuando
le indagini distrattamente bruciarono gli hard disk dei computer sequestrati. Posso
assicurare che i connettori dell’alimentazione di un hard disk, una volta
smontato, hanno un innesto standard universale e non esistono cavi che possono
essere inseriti nell’alimentazione in modo sbagliato. Quello che mi fu
comunicato non aveva alcun senso. Ci vuole davvero grande maestria per poter
bruciare un hard disk attraverso un cavo di alimentazione. E’ davvero improbabile
che si può bruciare un hard disk attraverso l’alimentazione, senza manometterlo
volontariamente. Un altro episodio
che fa rabbrividire è stata la valutazione sulle scarpe, che mi sequestrarono
in questura: le scarpe da ginnastica Nike, che indossavo, avevano un disegno
molto simile ad una impronta, impressa nel sangue, trovata sulla scena del
crimine. Gli inquirenti non persero un secondo e me le sequestrarono,
lasciandomi a piedi nudi. Sul momento non capii cosa stava succedendo, perché
non sapevo nulla di questa impronta nella stanza del delitto, dato che non ero
mai entrato in quella stanza. Il giorno dopo mi ritrovai davanti al giudice per
le indagini preliminari e il pubblico ministero si presentò con una consulenza
della polizia scientifica di Roma, in cui era scritto che vi era una
perfetta compatibilità delle mie scarpe con l’impronta, lasciata sulla scena
del delitto. Subito dopo la
convalida del mio arresto, mio padre si avvalse della collaborazione di un suo
collega ed amico esperto in medicina legale, il Prof. Francesco Vinci. Dopo una
rapida analisi, ci accorgemmo tutti della disarmante e banale realtà: i cerchi
concentrici sotto le mie scarpe erano 11, mentre quelli sull’impronta, lasciata
sulla scena del crimine, erano 7: quindi una totale incompatibilità che mi
scagionava del tutto. Da quel momento cominciammo a chiedere approfondimenti ed
incidenti probatori al GIP, giudice per le indagini preliminari, in modo che si
facesse luce sull’incredibile errore. Per due volte il GIP e il PM ci risposero
che le indagini in corso erano chiare e lineari e quindi le nostre richieste
e le nostre analisi - che per loro erano premature, nonostante io fossi in
carcere ed in isolamento - avevano solo lo scopo di fare confusione, per
mistificare le risultanze probatorie. Qualsiasi
commento è superfluo. Non ho avuto
nessun riscontro del mio appello al Presidente del CSM Mattarella e questo
rumoroso silenzio non fa altro che confermare le mie doglianze sull’illegittimo
incontrollabile potere che hanno i magistrati e le forze inquirenti. Sembra
come se nessuno possa fare nulla, nemmeno semplicemente verificare le
responsabilità di chi si macchia di ignobili colpe come quella di aver
distrutto per sempre delle giovani vite innocenti. Le Istituzioni dovrebbero verificare e certificare le
responsabilità personali dei professionisti intervenuti in questo caso assurdo
ed internazionale. Non voglio vendetta o punizioni; voglio soltanto che le
persone che hanno sbagliato si assumano le proprie responsabilità pubblicamente
per onore della verità e giustizia sociale.
Nel momento in cui pubblicamente si sapessero nomi e cognomi di chi ha
rovinato per sempre la mia vita, a quel punto nessun cittadino disinformato e
pregiudizievole avrebbe il motivo ed il coraggio di commentare la mia
assoluzione con un epiteto del tipo: “è stato fortunato, l’ha fatta franca”.
Se oggi avessi davanti i tuoi accusatori cosa diresti loro?
Chiederei loro perché hanno portato
avanti le loro accuse per così tanti anni, quando invece hanno saputo già
dopo pochi mesi dal mio arresto che non c’era alcun elemento che potesse
collegarmi alla scena del crimine e che non c’è mai stato alcun motivo reale
per cui io avrei dovuto commettere un delitto tanto orribile, nei confronti di
una ragazza che conoscevo appena e che non mi aveva fatto nulla. Ho grande desiderio di avere un
confronto con loro.
Tu ti sei recato anche sulla tomba di Meredith. Hai mai cercato
un contatto con i familiari? Cosa vorresti dire loro?
Sì, cercai già un contatto con la
famiglia di Meredith all’inizio di questa vicenda, quando scrissi una lettera
all’Avv. Maresca (ndr legale della
famiglia Kercher) per esprimere il
mio dispiacere e dolore per tutto quello che era a accaduto, per le falsità
raccontate dai media e per esprimere la mia convinzione che presto si sarebbe
chiarita la mia piena estraneità al delitto. Il loro dolore per la perdita di una figlia sarà sempre enorme, ma
quando avevo appena 21 anni ho perso per sempre mia madre: so cosa significa
non poterla più abbracciare, non poter avere i suoi sorrisi, i suoi baci e non
poterle raccontare le mie giornate e ricevere il suo conforto. Un dolore del
genere non può essere mai sanato, si può solo cercare una rassegnazione. Capisco che il loro dolore li abbia
resi ciechi e incapaci di intendere quello che accadeva durante i processi, ma
vorrei far capire loro che purtroppo sono stati sommersi di bugie e falsità sul
nostro conto dalle uniche persone con cui hanno avuto contatti. Meredith
Kercher non è morta per un orgia finita male; la scena del crimine racconta una
storia completamente diversa, dove l’unica persona che può sapere e raccontare
ciò che è accaduto veramente è Rudy Guede.
Se vogliono sapere cosa è accaduto alla loro figlia, devono rivolgersi a
lui, perché lui ha tutte le risposte.
Che farà da grande Raffaele Sollecito?
Sono un ingegnere informatico; ho studiato
e dedicato molti anni della mia vita a questi studi e a questo lavoro. Adesso, con mia felice sorpresa, la
Regione Puglia ha risposto positivamente ad un bando di concorso a cui ho
partecipato con un progetto di servizi informatici innovativi. Grazie ai soldi
che mi sono stati erogati, ho aperto una società a responsabilità limitata:
MEMORIES SRL e sto avviando il mio progetto a cui tengo moltissimo. Inoltre, tramite questa terribile
vicenda ho avuto una conoscenza molto profonda e dettagliata di tre ambiti
sociali che sembrano divisi ma sono ben legati e connessi fra loro: sto
parlando di giustizia, carceri e media. Sia io che la mia famiglia, magari in
modo diverso, abbiamo dovuto far fronte a problematiche estremamente complicate
di cui non avevamo nessuna esperienza. Queste tre “galassie” soffrono di
problematiche e difetti che hanno distrutto la mia esistenza senza ragione.
Vorrei portare questa mia esperienza a servizio della comunità, affinché ciò
che è accaduto a me non possa più accadere a nessun altro e si possa migliorare
la società in cui viviamo.
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